L’ex ministro litiga con tutti perché vuol dettare condizioni buone solo per lui Ovunque va fa danni a causa del suo ego. Ora potrebbe pure mollare i dem
Dove c’è Carlo Calenda, non c’è casa. O meglio: la casa è lui, nel senso che la occupa tutta intera e guai a chi provi a cercarvi un rifugio anche per sé. Deve averlo capito, scrive Libero, come sempre in ritardo, pure Enrico Letta il quale non ha fatto in tempo a firmare con lui un accordo elettorale in chiave anti destre che si è subito visto scippare il palco e il cono di luce, ma soprattutto le condizioni per fare parte della litigiosissima Unione 2.0 messa su in fretta e furia dalla sinistra in odor di sconfitta.
È successo infatti che non soltanto il leader di Azione ha strappato vantaggi tecnicamente faraonici per l’apparentamento con il Pd – 30 per cento dei collegi più una sostanziale esclusione dalla quota uninominale per quelli che gli stanno antipatici in quanto complici della caduta di Mario Draghi – e non soltanto ha ottenuto appunto che il centrosinistra debba ripartire dall’Agenda Draghi (che non c’è, ma vabbè); no, c’è di più. Ieri il leader di Azione ha bombardato da par suo la trattativa tra Letta e i così detti rossoverdi di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli.
“Non siamo disponibili a rivedere alcun punto scritto…”
“Della sorte di Di Maio, D’Incà, Di Stefano e compagnia non ce ne importa nulla. Al contrario, prima tornano alle loro professioni precedenti meglio è per il Paese. E per quanto concerne l’Agenda o è quella di Draghi o quella dei no a tutto. Chiudiamo questa storia ora». Chiudiamo? Ora? “C’è un’ambivalenza che tormenta la sinistra dalla sua origine: riformismo o massimalismo. Una scelta mai compiuta fino in fondo che ha determinato contraddizioni e sconfitte. L’accordo sottoscritto dal Partito democratico è una scelta. Può essere cancellata ma non annacquata. Decidete“. Boom! Con non poche ma sentitissime battute, Calenda ha mandato ai pazzi il Pd ponendo un veto feroce.
È chiaro che il front man della situazione adesso è lui, l’attore protagonista di un melodramma che rischia di concludersi in farsa. Ma sempre con l’ex ministro dello Sviluppo in posizione “win win”, come dicono quelli che se ne intendono. Perché il piano originario e ambiziosissimo di Calenda era quello di denudare i limiti di una sinistra ipocrita e confusa (ci vuole poco) creando intorno a sé un terzo polo (con Matteo Renzi al seguito ma in stato di subalternità, certo non nel listone comune che l’ex premier aveva proposto per far trainare la sua Italia Viva) per ottenere infine un risultato elementare: piazzare in Parlamento una minoranza di bloc co tale da impedire sia alla destra-centro data per vincente sia alla sinistra e ai grillini di governare l’Italia. Dal che non è difficile arguire che il traguardo sia il ritorno dell’identico, vale a dire un esecutivo tecnico sorretto dai soliti portatori d’acqua al servizio dei “competenti”.