In un’ampia intervista rilasciata al periodico “Limes” il segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, ha ribadito la linea della Chiesa in materia di guerra, e nello specifico per quanto concerne il caso ucraino.
“La Chiesa crede nella pace, lotta per la pace, testimonia per la pace: in questo senso è pacifista”, sono le parole pronunciate dal cardinale Parolin respingendo in questo modo al mittente quanti vedono nel pacifismo radicale e senza condizioni di Papa Francesco un qualche strano ammiccamento filorusso.
Il punto è che il Catechismo della Chiesa cattolica si esprime in maniera molto chiara sull’argomento. Prevedendo cioè la “legittima difesa”, “esercitata all’interno di alcune condizioni”, tra cui “che vi siano fondate ragioni di successo”, o che il tentativo di porre rimedio non sia peggiore del male contro cui si combatte.
E qui, proprio su queste condizioni per la difesa armata, si aprono diversi interrogativi teoricamente lasciati in sospeso, ma al contrario delineati, nella pratica, all’interno dei numeri interventi pubblici pronunciati dall’attuale Pontefice argentino. Sicuri, è la domanda di fondo, che l’Ucraina abbia possibilità di vittoria, e soprattutto che le perdite umane dovute alla resistenza per il Donbass non si sarebbero potute evitare con una soluzione più pacifica, che contempli ad esempio la neutralità di quel territorio conteso tanto dai governi quanto dalle popolazioni e dalle persone che vi abitano, molte delle quali russofone e filorusse?
Tuttavia, il concetto di fondo espresso da Parolin e ripreso oggi da numerose testate è chiaro e lineare, e non prevede alcun colpo di scena in quanto chiarisce la posizione cattolica, scevra da condizionamenti e casi particolari o specifici. La missione della Chiesa è quella di lavorare per la pace, in terra e in cielo, ma allo stesso tempo la dottrina sociale cattolica prevede anche la possibilità per i popoli aggrediti di difendersi. Ma che sia una difesa ragionevole, che non provochi cioè guerre ancora più gravi di quelle iniziali.
Questi stessi principi sono quello che guidano la Santa Sede nel proprio impegno per la mediazione tra Mosca e Kiev, suffragato dalla possibile visita papale nella capitale del Paese in guerra, che al momento si immagina possa avvenire intorno a metà settembre. Una visita inizialmente vista con piacere dagli ucraini, specialmente dopo le parole di Bergoglio su Kirill “chierichetto di Putin”, entusiasmo poi però raffreddatosi dopo i tentativi vaticani di riallacciare con Mosca.
Ma è proprio l’attuale condizione, che vede un conflitto sempre più aspro, tra missili ucraini in Crimea sulle basi sulle e Zelensky che invita a negare i visti europei per i russi, che chiama all’urgenza, a un dialogo sempre più impellente, da realizzarsi attraverso iniziative di alto profilo. Sulle quali il segretario Parolin punta molto.