Ponte Morandi, Bixio (Col. Finanza): “Qualcuno provò a cancellare le prove”

Parla il capo militare che all’epoca guidò il team che si occupava delle indagini: “Dopo quattro anni adesso è tutto più chiaro”

Sono passati quattro anni da quel giorno maledetto. Da quando il Ponte Morandi di Genova crollò e tutto svani. Anche diverse vite, persone che guidavano la macchina senza problemi e che nel giro di pochi secondi sono stati cancellati. Morti. Ancora senza risposte. Ma la verità è vicina. “Il 14 agosto di quattro anni fa anche io ero lì, rientrato di corsa dalle ferie. Gli uomini del mio “Primo Gruppo” stavano scavando fra le macerie insieme agli altri soccorritori, hanno tirato fuori cadaveri. Faceva impressione quanto fossimo così piccoli di fronte all’enormità delle macerie e della tragedia. Due giorni dopo la Procura ci ha dato la delega a indagare. Adesso, a inchiesta chiusa e processo iniziato, tutto ha un filo logico. Ma allora ci siamo trovati davanti a una montagna”, il racconto a Repubblica è del colonello Ivan Bisxio, oggi comandante della Guardia di Finanza di Reggio Emilia, all’epoca capo del team che condusse le indagini.

Ponte Morandi gup
La decisione del Gup sugli indagati per il crollo del Ponte Morandi © Ansa
Il colonnello Ivan Bixio è l’uomo che, “insieme a compagni formidabili di una squadra arrivata a contare quaranta persone“, ha studiato, interrogato, sequestrato, scavato.

Messo a nudo il sistema distorto dietro a una delle più grandi tragedie della storia italiana: 43 vittime per il crollo di un ponte, il Morandi, definito dai pm “un malato terminale mai curato” dalla concessionaria Autostrade, sotto l’occhio tutt’altro che vigile del ministero delle Infrastrutture. A giudizio ci sono 59 persone, a partire dai vecchi top manager della Aspi targata Benetton, in primis l’ex ad Giovanni Castellucci.

“Ci fu una vera e propria corsa per fare giustizia su quel maledetto ponte”

Ponte Morandi
Come si presentava il Ponte Morandi dopo il crollo © Ansa

Abbiamo fatto delle corse contro il tempo – ricorda il colonello Bixio -, soprattutto all’inizio. Da una parte c’era il rischio che qualcuno tentasse di eliminare eventuali prove, come peraltro in qualche caso è successo”. Un esempio è una chat fra gli allora numeri due e tre di Aspi Paolo Berti e Michele Donferri, in cui si parlava della corrosione dei tiranti del viadotto, annota Repubblica. “Dall’altra dovevamo cercare filmati – aggiunge Bixio -, era la settimana di Ferragosto e le aziende della zona chiuse, quelle telecamere dopo 48-72 ore sovra-registrano. Trovammo diversi video, il più noto quello della società Ferrometal è l’unico che restituisce il disastro integralmente. Nonostante ciò abbiamo cercato di indagare senza alcun pregiudizio, prendendo in considerazione ogni possibile causa del disastro“.

Ci fu un momento che le indagini furono a un punto morto e ci furono timori che si dovesse ricominciare tutto daccapo. “Lavorando sul crollo del Morandi abbiamo trovato elementi nuovi sul conto di Autostrade e della società gemella Spea, allora addetta ai controlli – ha rimarcato e sottolineato il colonello Bixio -. I report sulle condizioni di salute degli altri viadotti a parer nostro ammorbiditi, le barriere anti-rumore pericolose e fuori norma, fino ai problemi delle gallerie dopo il crollo della “Berté” sulla A26. Ci siamo molto preoccupati quando su disposizione della Procura siamo andati letteralmente a chiudere il traffico su due ponti liguri. Io stesso ho viaggiato fino a Roma per sollecitare il ministero a effettuare controlli serrati sulla rete“.

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