Talpa di Perugia, dietro inchiesta spunta patto occulto Pd-Procure

L’ex cancelliere Raffaele Guadagno accusato di informare i giornali. Emergono nuovi elementi

Le indagini sulla presunta talpa di Perugia, il cinquantottenne Raffaele Guadagno, ex cancelliere della Procura e presunto informatore di giornalisti, ha fatto emergere  diverse novità. Da un’inchiesta realizzata dal quotidiano La Verità, sono state evidenziate relazioni pericolose tra gli uffici giudiziari italiani e i vertici del Partito democratico. Una simbiosi – si legge nel dossier –  che dura da molto tempo e che sembra confermata dalle storie a cui era interessato il presunto corvo perugino. Quest’ultimo non avrebbe “spiato” solo i fascicoli sulla cosiddetta loggia Ungheria e sull’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, ma anche quello sulla cosiddetta Concorsopoli umbra che ha costretto alle dimissioni per una supposta raccomandazione l’ex governatrice regionale, la dem Catiuscia Marini.

zingaretti
Il presidente della Regione Zingaretti (Ansa)

La contestazione d’abuso d’ufficio e falso in concorso  è riferita a una decisione che non riguarda la Regione, ma la locale azienda ospedaliera. L’ex cancelliere indagato oggi, a fine 2021, come rivelato dalla Verità il mese scorso, avvicinò gli avvocati di Palamara per riferire di alcune ipotetiche anomalie avvenute nell’inchiesta sull’ex presidente dell’Anm, compreso un fatto vero e inedito come la richiesta di astensione della pm Gemma Miliani. Oggi, secondo il quotidiano, emergono interessanti novità:Guadagno prima di offrire le proprie informazioni al pool difensivo di Palamara aveva cercato di agganciare la Marini. “Mi posso permettere? Non ti dovevi dimettere. Un giorno se vuoi possiamo prendere un caffè“. Dalle dimissioni erano passati 4 mesi e l’occasione del messaggio era il compleanno dell’ex governatrice. Il mese dopo, a seguito della vittoria del centrodestra in Regione, Guadagno tornò alla carica: “Ehilà. Non parliamo di politica [] Sono venuto per votare. Il caffè ora possiamo perché sono qui. In settimana quando puoi/vuoi. Ps evidentemente ci meritiamo tutto ciò“.

Il riferimento era probabilmente alla vittoria della governatrice leghista Donatella Tesei. Guadagno sapeva qualcosa sulle indagini e sulle capillari fughe di notizie che avevano portato alle dimissioni la Marini? Ad aprile, quando finirono ai domiciliari un assessore e il segretario del Pd dell’Umbria Gianpiero Bocci, i media dedicarono alla crisi politica di una Regione con gli abitanti della provincia di Genova, un’ attenzione degna della caduta della giunta lombarda o laziale. Il 16 aprile la Marini, come prevede lo statuto, firmò delle dimissioni “tecniche” che il Consiglio regionale avrebbe potuto respingere. E in effetti il ​​18 maggio il parlamentino confermò la fiducia alla governatrice e alla sua giunta (con il voto anche della stessa Catiuscia).

Zingaretti disse in Tv: “Vorrei un Pd dove se qualcuno commette illeciti o bara, deve essere cacciato…”

L’ex magistrato Luca Palamara qui insieme ad Alessandro Sallusti (foto Ansa)

Il giorno dopo il segretario del Pd Nicola Zingaretti, forse confondendo il proprio ruolo con quello del fratello Luca, alias commissario Montalbano, andò in tv da Lucia Annunziata a esternare il suo disappunto  per il ripensamento della Marini sulle dimissioni (“ha commesso un grave errore politico“) e ad annunciare la svolta poliziottesca del suo partito: “Il Pd che ho in mente e che io voglio è un partito democratico dove se qualcuno si vende le domande dei concorsi siamo noi a cacciarlo e andare in Procura a denunciarlo prima che se ne accorgano i procuratori“. condannò in tv Insomma, nella trasmissione Zingaretticondannò” senza appello la sua collega governatrice (lei dell’Umbria, lui del Lazio) senza attendere i processi. Ma sostenne anche di non averne chiesto le dimissioni.

Ma la versione raccolta dal quotidiano La Verità, risulta essere molto diversa: l’ex governatrice non ha mai dichiarato perché abbia rinunciato alla carica che le avevano affidato gli elettori, ma l’ex presidente del partito Matteo Orfini sui giornali parlò essenzialmente di “pressioni” da parte del “vertice nazionale” del Pd. Le stesse che la Marini ha raccontato a diversi membri del suo staff. Ecco la ricostruzione di quei giorni febbrili secondo il quotidiano diretto da Belpietro: il 16 aprile, in tarda mattinata, arrivò a Perugia da Roma l’umbro Walter Verini (pochi mesi prima rimuovere dall’indagato Bo nelle primarie per di segretario regionale), incaricato di commissariare il partito locale, e non lasciò la stanza dell’allora governatrice sino alle 20, impedendo alla Marini di presentarsi in Consiglio per l’intera giornata. L”ambasciatore’ avrebbe riferito di essere lì “per conto di Zingaretti e del presidente del partito Paolo Gentiloni». Secondo alcune testimonianze,  provò in tutti modi a far firmare le dimissioni scritte alla Marini. “Verini disse che l’indagine era solo all’inizio e che poteva esserci evoluzioni anche gravi“, ricorda uno dei presenti. “Fece riferimento ai rischi legati alla possibile reiterazione del reato, che può far scattare anche l’arresto, e fece capire che la situazione era molto“. Verini, alle orecchie di chi ascoltava, dava l’impressione di avere informazioni di prima mano direttamente da chi stava conducendo le indagini.

Un anonimo Dem: “Qui rischiamo di andarci a sfracellare”. E l’ex guardiasigilli Orlando si infuriò

La conferenza
Il presidente de Consiglio Mario Draghi con Andrea Orlando e Giancarlo Giorgetti (foto Ansa)

L’ex leader Pd, con fare gentile, pur di ottenerne le dimissioni, ha proposto alla presidente un posto nella segreteria del partito. La governatrice declina l’offerta e quasi contemporaneamente il sito in quel momento diretto dall’ Annunziata, l’Huffington Post, descrisse una Marini barricata dentro al palazzo e uno Zingaretti pronto «a smarcarsi». Nell’articolo era riportato anche il timore di un anonimo «dem»: “Tra un mese rischiamo di sfracellarci alle elezioni amministrative se escono nuove carte e comunque basterebbero queste già pubblicate».  Alla fine la governatrice firmò le dimissioni che, come detto, non andavano, però, sottoposte al vaglio del Consiglio e non erano, quindi, irrevocabili. Il 2 maggio l’indagata si recò nell’ ufficio romano del segretario Zingaretti e qui i messaggi che ricevette furono ancora più diretti. O perlomeno lei li intese così. Per i primi 5-10 minuti i due rimasero da soli, poi la Marini pretese che all’incontro assistesse anche l’avvocato Pepe.

Il resoconto di quel faccia a faccia è stato poi condiviso con persone vicine ai partecipanti. Anche perché nei giorni successivi il gruppo consiliare del Pd, guidato dal presidente Donatella Porzi e dal capogruppo Gianfranco Chiacchieroni, venne convocato per una riunione con l’ex Guardasigilli Andrea Orlando in vista del voto sulle dimissioni.  La sera del 18 maggio, dopo che il Consiglio regionale approvò la mozione di fiducia alla governatrice, la Marini raccontò ai suoi più stretti collaboratori di essere stata chiamata da un Orlando “furioso, il quale, “urlando“, le avrebbe “detto che non erano quelli i patti“, come se esistesse un accordo sul suo addio. E il fatto che a strillarle quelle cose fosse stato l’ex ministro della Giustizia l’avrebbe “inquietata particolarmente”. Ma torniamo al 2 maggio. Una fonte ha confidato al quotidiano La Verità, che in quell’occasione Zingaretti aveva «detto direttamente di aver preso informazioni sull’inchiesta direttamente dai magistrati per il tramite di una persona». Di cui, però, non hai fatto il nome. E mentre Verini ha parlato più volte della polizia giudiziaria e solo in modo sfumato del Palazzo di giustizia, il governatore del Lazio ha fatto “riferimento ai vertici della Procura e a contatti con i magistrati“.

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