In esclusiva a Notizie.com, la rappresentante dell’associazione che da anni si batte per il reinserimento dei detenuti
I dati sono allarmanti. L’Italia sta diventando il Paese al mondo con il maggior numero di suicidi nelle carceri. Dall’inizio dell’anno sono ben 52 i detenuti che si sono tolti la vita, esasperati dalla situazione che si vive all’interno dei penitenziari. L’ultimo caso si è verificato a Ferragosto, con un ragazzo di 25 anni che si è ucciso nel carcere di Torino.
“La situazione è drammatica – conferma in esclusiva a Notizie.com Claudia Diaconale, dell’Associazione Gruppo Idee, che da anni si batte per una miglior tutela dei detenuti – sono anni che si segnalano criticità. Negli ultimi giorni sta dimostrando lo stato di degenerazione e l’esasperazione che si è raggiunta. Viviamo in Italia, dove i processi sono farraginosi e spesso il carcere è strumentalizzato ai fini politici. Bisognerebbe rendere possibile il lavoro delle associazioni che si battono per le pene alternative e la riabilitazione per il reinserimento dei detenuti in società. Gli studi hanno dimostrato che è l’unica maniera per abbattere la recidiva. Tutti discorsi triti e ritriti, ma che non riescono a trovare applicazione in Italia“.
Ma la situazione sembra peggiorare. Perchè?
“Gli ultimi due anni e mezzo, con la pandemia hanno esasperato tutti i problemi. Rendendo la vicenda ancor più drammatica. La situazione carcerarie è complessa e ci sarebbe bisogno di analizzarla a 360 gradi”.
In che modo?
“Il problema più evidente è il sovraffollamento, insieme alla carenze delle strutture. Ma anche la mancanza di personale, i turni abonimevoli che esasperano ancora di più situazioni già critiche e complesse. Non ci dobbiamo mai scordare che il carcere è un insieme di persone. E’, in piccolo, una rappresentazione della società. Se all’interno un meccanismo si inclina, poi ne risente tutto il resto”.
Cosa sta accadendo in questi ultimi giorni?
“Siamo ad agosto, il caldo è asfissiante e in più siamo a ridosso delle elezioni e tanti provvedimenti non vengono presi. La nostra burocrazia è schiava di complessi legati alla politica, e quindi è tutto fermo. Ci sono centinaia di psicologi, addetti alla sicurezza, personale carcerario, che non riescono a lavorare. Tutto ne risente. E’ un problema anche per noi”.
Le associazioni riescono a lavorare serenamente?
“Le stesse istituzioni carcerarie hanno giudicato il lavoro delle associazioni fondamentale. Perchè sopperiscono alle mancanze drammatiche delle istituzioni, che non riescono a realizzare tutti i percorsi di recupero stabiliti dalla legge italiana. Ma anche noi, in questo periodo, siamo in grossa difficoltà”.
Le vostre richieste sono state approvate? Con chi vi interfacciate?
“Noi abbiamo avuto la fortuna di interagire sempre con istituzioni carcerarie che hanno dimostrato un’apertura massima verso i nostri progetti, che non è così scontata in Italia. Ma anche le istituzioni carcerarie devono poi fare i conti con la realtà. Non basta la buona volontà. Spesso quei meccanismi farraginosi di cui parlavamo, bloccano sia la nostra che la loro volontà”.
Cosa vi auspicate?
“Che la situazione cambi e che finalmente si leghi il discorso carcerario con l’idea di giustizia, che è un concetto così importante e profondo che ha bisogno di essere analizzato in maniera molto più ampia di come di solito viene affrontato”