Al Nazareno lo scontro tra bande inizia a urne chiuse. Il capo taglia fuori riformisti e renziani mentre la minoranza è già pronta alla vendetta. E il terzo polo se la ride
Guerre interne, polemiche e battaglie da una parte e dall’altra, oltre alla campagna elettorale, Enrico Letta dovrà occuparsi di come evitare il funerale della sua segreteria. Del resto, in appena un anno e pochi mesi al vertice, scrive il quotidiano La Verità, di nemici se n’è fatti un certo numero. Ma se fino a qualche giorno fa pensavo che avrebbe dovuto guardarsi le spalle dagli alleati, a partire da Carlo Calenda, un tipo che ha più pretese che voti, ora non posso non notare che il pericolo vero l’ex presidente del Consiglio lo ha in casa. Ad avergliela giurata infatti sono i compagni di viaggio. O meglio, quelli che avrebbero voluto essere suoi compagni di viaggio, ma che Letta ha lasciato a terra, escludendoli all’ultimo minuto dalle liste. Enricostaisereno, modo di dire ormai entrato nella storia parlamentare, è come se si fosse tolto dalle scarpe tutti i sassolini, eliminando con otto anni di ritardo la vecchia guardia che assieme a Matteo Renzi contribuì a spodestarlo da Palazzo Chigi.
Quella di Letta contro Luca Lotti è una vendetta postuma, un regolamento dei conti a distanza, ma non per questo meno eclatante. Fuori uno dei capi di Base riformista, la corrente più moderata del Pd, dentro gente del calibro di Nicola Fratoianni o Roberto Speranza, che moderati non sono e neppure riformisti. Ma non c’è solo la rappresaglia nei confronti di chi nel passato gli ha intralciato la strada.
Il segretario del Pd, oltre a eliminare gli avversari interni, mentre non perde occasione per richiamarsi all‘agenda Draghi, ha eliminato tutti quelli che in qualche modo si ispiravano agli impegni assunti dall’attuale governo. Infatti, oltre ad aver imbarcato la sinistra dura e pura e i Verdi più acerbi che vi fossero, Letta ha depennato dalle liste persone tipo Stefano Ceccanti o Enzo Amendola, il primo esperto di riforme istituzionali e il secondo ufficiale di collegamento con Bruxelles, uno dei pochi che sa davvero quali siano gli impegni che l’Italia ha preso con l’Europa ma che, a dispetto della competenza, è stato messo in un collegio a perdere. A dimostrazione di quanto siano contraddittorie e poco trasparenti le decisioni del segretario uscente, la scelta di candidare Roberto Speranza ma anche, in puro stile veltroniano, Andrea Crisanti.
Il primo è l’uomo che ha imposto il lockdown e pure il green pass agli italiani sebbene né dell’uno né dell’altro si sia dimostrata l’utilità per contenere il Covid. Il secondo invece, è colui che più di tutti ha criticato Speranza, dicendo che il green pass non era una misura dettata da ragioni di salute pubblica, ma soprattutto specificando che l’errore più grande era stato far credere che i vaccinati non si contagiassero. In entrambi i casi, a dettare legge era stato Speranza, ossia quello stesso ministro di cui Letta ha detto di condividere tutto e di essere orgoglioso, salvo poi schierare Crisanti per strizzare un po’ l’occhio a chi ha dubbi sulla strategia contro la pandemia.