Tanti saranno i volti vecchi e noti che nel prossimo Parlamento non ci saranno più, un po’ per le scelte di partito un po’ per stanchezza
Non è un arrivederci, ma un addio. Almeno per i prossimi cinque anni. Non verranno ricandidati e non torneranno. A meno che non vengano ripescati per incarichi di governo. Il partito degli esclusi è lungo, zeppo di nomi illustri, trasversale come è più del gruppo misto. Ma si fa ancora più chilometrico in casa del primo ex partito d’Italia, alle prese con defezioni, faide, regole severissime. Così escono di scena, almeno a questo giro, personaggi come Roberto Fico, presidente uscente della Camera e ora senza neppure uno strapuntino, quello che all’inizio prendeva l’autobus e stava con le mani in tasca, e con lui tanti altri. Alfonso Bonafede, il mitico dj Fofó, diventato ministro della Giustizia, non ci sarà. A lui si deve la nefasta riforma della giustizia che aveva introdotto l’orrore della prescrizione senza fine, o meglio l’ergastolo della prescrizione. Un obbrobrio poi corretto, per fortuna, da Marta Cartabia che ha preso il suo posto. Combinazione, lui se ne va, ma rimane quel Giuseppe Conte che Bonafede aveva scoperto all’università di Firenze e segnalato ai vertici del Movimento, creando così con un esperimento in laboratorio il più trasformista dei premier.
La ruota gira e calpesta tanti big della nomenklatura giallorossa. Si possono citare in ordine sparso: saluta Federico d’Incà, roccioso ministro bellunese, appena uscito dal partito di Grillo & Conte, ma sempre dalle parti dei Progressisti, con Ambiente 2050, una sigla tutta da riempire, non certo il pullman che serviva per tornare in Parlamento. Addio anche a Paola Taverna, vicepresidente del Senato e dei 5 Stelle, decapitata dalla norma sul doppio mandato. Rimane in panchina e con lei il gaffeur dei gaffeur Danilo Toninelli, a suo modo un’icona. L’icona va in pezzi.
Tanti non si rivedranno, anche personaggi chiave durante la pandemia
Bye bye anche per Pierpaolo Sileri, ma basterà munirsi di telecomando per scovarlo con una certa facilità. Tanto che un giorno, Giletti che lo aveva come ospite in studio, disse: “Quando la moglie vuole sapere dov’ è, accende la tv“. “Torno a fare il chirurgo“, annuncia lui dopo una rapidissima e visibilissima carriera come senatore, viceministro e sottosegretario alla salute in quota 5 Stelle. Pierluigi Bersani, che è stato segretario del Partito democratico, la mette sull’ironia: “Dai ragazzi, ho settant’ anni, do una mano, ma non mi ricandido“. È arrivato il momento di pettinare le bambole.
Game over anche per Vasco Errani, ex presidente della Regione Emilia-Romagna, poi in rotta con la casa madre. Non c’è un collegio nemmeno per Luca Lotti, che però chiude fra le polemiche. Lui, uno dei big dell’era renziana, viene escluso suscitando le ire dei riformisti che fanno capo al ministro della difesa Lorenzo Guerini. E Renzi, perfido, commenta: “La scelta di Letta guidata dal rancore“. Molti resteranno fuori, anche perché i posti a disposizione si assottigliano. Ma c’è chi non arriva nemmeno ai blocchi di partenza. In casa Pd non si ripresentano l’ex vicepresidente del Senato Valeria Fedeli e l’ex ministro Barbara Pollastrini, figura storica della sinistra italiana. E ancora, dopo averci meditato per tempo, Roberta Pinotti, senatrice, la prima donna a diventare ministro della Difesa. Dall’altra parte dell’emiciclo meno defezioni, ma i nomi pesano. Non ci sarà Renato Brunetta, ministro più draghiano di Draghi, che ha abbandonato Forza Italia quando Berlusconi ha mollato il governo Draghi. Insomma, per lui è un triplice fischio e congedo: da Forza Italia, dal governo e dalla Camera. Rimangono in disparte anche la viceministra Marina Sereni e un volto, anche della tv, non omologabile come Stefano Fassina, di Leu. Fuori anche Renata Polverini, sindacalista e poi parlamentare forzista, e via anche il senatore Giuseppe Moles, sottosegretario all’editoria.