Il Papa a L’Aquila, visita storica: il suo appello per la ricostruzione

La visita del Papa a L’Aquila e le sue parole di incoraggiamento per la ricostruzione, per la quale “serve impegno lungimirante”. Ai familiari invece porge la mano, e spiega: il dolore esiste, e di fronte ad esso le belle parole non sono sufficienti. 

papa l'aquila
(Ansa)

“Il dolore c’è, le belle parole aiutano ma il dolore rimane. Con le parole non se ne va il dolore. Soltanto la vicinanza, l’amicizia, l’affetto, camminare insieme, aiutarci come fratelli e andare avanti. O siamo un popolo di Dio – ha sottolineato Francesco – o non si risolve i problemi e i dolori come questo”. Le parole di Papa Francesco arrivano come delle vere e proprie pietre davanti a un dramma come quello del terremoto di L’Aquila, che ha segnato senza dubbio la storia recente del nostro Paese e che ancora oggi fatica a trovare una via d’uscita chiara e definita.

La visita del Pontefice

Il Pontefice si è recato nella cittadina abruzzese per l’evento della “Perdonanza celestiana”. Francesco ha celebrato nella Basilica di Collemaggio la Messa con il rito di apertura della Porta Santa, segno dell’inizio del “perdono” di Celestino V. Dopo una sosta al duomo, Bergoglio, a cui è stato conferito il Premio del Perdono istituito quest’anno, ha poi incontrato due gruppi di detenuti.

“Voglio salutare e ringraziare la delegazione del mondo carcerario abruzzese, qui presente”, ha detto il Papa, denunciando le “troppe vittime” all’interno delle carceri. “Anche in voi saluto un segno di speranza, perché anche nelle carceri ci sono tante, troppe vittime. Oggi qui siete segno di speranza nella ricostruzione umana e sociale”.

Bergoglio ha visitato il Duomo, ancora drammaticamente segnato dalle ferite del terremoto 2009, e i fotografi lo hanno immortalato mentre indossa il casco dei Vigili del Fuoco, accompagnato dalla Soprintendente Cristina Collettini e dal commissario straordinario per la Ricostruzione Giovanni Legnini.

Durante l’omelia, il Papa ha chiesto al popolo dell’Aquila di fare “tesoro” delle proprie sofferenze per capire il dolore degli altri. “Voi avete sofferto molto a causa del terremoto, e come popolo state provando a rialzarvi e a rimettervi in piedi. Ma chi ha sofferto deve poter fare tesoro della propria sofferenza, deve comprendere che nel buio sperimentato gli è stato fatto anche il dono di capire il dolore degli altri”, ha detto loro Francesco.

Il rito di apertura della Porta Santa, prima volta di un Pontefice

“Voi potete custodire il dono della misericordia perché conoscete cosa significa perdere tutto, veder crollare ciò che si è costruito, lasciare ciò che vi era più caro, sentire lo strappo dell’assenza di chi si è amato. Voi potete custodire la misericordia perché avete fatto l’esperienza della miseria”, ha continuato il Pontefice. Aggiungendo che “la forza degli umili è il Signore, non le strategie, i mezzi umani, le logiche di questo mondo i calcoli”. E che “in tal senso, Celestino V è stato un testimone coraggioso del Vangelo, perché nessuna logica di potere lo ha potuto imprigionare e gestire. In lui noi ammiriamo una Chiesa libera dalle logiche mondane e pienamente testimone di quel nome di Dio che è la Misericordia”.

Al termine della celebrazione Francesco pronuncerà l’Angelus e così di seguito il rito di apertura della Porta Santa, per la prima volta nella storia officiato da un Pontefice dopo Celestino V. Non a caso l’entusiasmo dei fedeli è palpabile. Sul palco si trova anche l’Orchestra del Conservatorio “Alfredo Casella” con le principali corali cittadine tra cui la Schola Cantorum.

Francesco ha poi chiesto anche una “attenzione particolare” per le chiese nell’ambito della ricostruzione dell’Aquila colpita dal terremoto. “Nell’opera di ricostruzione, le chiese meritano un’attenzione particolare”, ha detto il Papa, in quanto “patrimonio della comunità, non solo in senso storico e culturale, anche in senso identitario. Quelle pietre sono impregnate della fede e dei valori del popolo; e i templi sono anche luoghi propulsivi della sua vita, della sua speranza”. Prima del suo saluto conclusivo in dialetto aquilano, accolto da un’ovazione: “Jemo ‘nnanzi”.

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