Per il quotidiano diretto da Sallusti, il front runner del centrosinistra è il presidente del Consiglio più snobbato della storia recente gli altri meglio di lui
La verità, ricorderà Matteo Renzi nei suoi libri, è che in quel febbraio del 2014 nessuno del Partito democratico “ha ordito complotti segreti, ma si è presa una decisione perché quel governo non si muoveva. Non è un caso se nessuno ricorda un solo provvedimento degno di questo nome in un anno di vita di quell’esecutivo – se escludiamo l’aumento dell’Iva il primo ottobre 2013”. Il governo che «non si muoveva» ed è passato alla storia unicamente per aver aumentato l’imposta sul valore aggiunto è ovviamente quello di Enrico Letta. Il quale per questo fu rimosso non solo da Renzi, ma da tutto lo stato maggiore del Partito democratico, all’unanimità: a votare affinché si dimettesse furono 136 membri della direzione del Pd (contro appena 16 contrari e due astensioni) e nella delegazione che gli recapitò l’avviso di sfratto c’erano anche Roberto Speranza, allora capogruppo piddino alla Camera, Lorenzo Guerini e Luigi Zanda.
Bocciato senza appello dal suo intero partito, dunque, per il modo in cui aveva governato dall’aprile del 2013 sino ad allora. È lo stesso Letta che ora, tornato da Parigi, dà lezioni di buon governo e sparge profezie terrorizzanti tra gli elettori italiani e le testate e gli investitori internazionali, annunciando disastri nel caso in cui a vincere le elezioni fosse il centrodestra. Ieri, nella domenica in cui si celebrava sant’ Agostino, a subire la predica del segretario del Pd sono stati i lettori di Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale.
Letta è già stato messo alla prova
Una lunga intervista fattagli senza scomode domande su aborto ed eutanasia (temi che pure non sono secondari nel papato di Bergoglio) e concedendogli ampia possibilità di ripetere il solito tormentone, ossia che se davvero gli italiani preferiranno il centrodestra a lui, Fratoianni, Bonelli e Di Maio, una serie di piaghe bibliche si abbatterà sul Paese. La risposta definitiva gliela daranno gli elettori il 25 settembre. Secondo le prime rilevazioni, però, non è stata una grande scelta. Non solo perché i sondaggi sulle intenzioni di voto registrano, impietosi, un distacco crescente tra le due coalizioni, giunto ormai a venti punti, ma anche per l’opinione che gli italiani hanno di Letta e della sua capacità di governare.
La sua rivale, infatti, può contare quantomeno sul beneficio del dubbio: Letta no, è già stato messo alla prova. E ha lasciato un’opinione pessima di sé e del proprio operato. L’istituto Termometro politico ha fatto un sondaggio proprio nei giorni scorsi, tra il 23 e il 25 agosto, chiedendo qual è stato il miglior premier degli ultimi vent’ anni. Un po’ a sorpresa, visti anche i tanti rivali che conta, è risultato primo Silvio Berlusconi, scelto dal 27,6% degli interpellati. Mario Draghi è risultato secondo, indicato dal 21,3%. A seguire, Giuseppe Conte (13,6%), Romano Prodi (10,8%) e gli altri. Ultimo tra tutti, persino dietro Mario Monti (0,7%), è arrivato proprio Letta, col suo 0,5%: solo un italiano su duecento, insomma, rimpiange quando c’era lui a palazzo Chigi. Non proprio la base di partenza migliore per una campagna elettorale focalizzata tutta su se stesso.