Mentre cresce il numero delle vittime per l’alluvione nelle Marche, si apre uno squarcio sui lavori mai svolti a ponti, argini e bacini: opere finanziarie risalenti ai governi Renzi e Conte mai finite. Ma la Regione già nel 2009 parlava di interventi urgenti e prioritari.
Il governo Renzi stanziò 45 milioni per il fiume Misa, ma il governo Conte ripartì da zero, e nel frattempo i lavori alla vasca che poteva limitare i danni a Senigallia è ferma dal 2014.
“Ora diteci chi ha sbagliato”. La rabbia dei marchigiani cresce di giorno in giorno, a poche ore dall’inferno alluvionale c’è già aria di abbandono. Gli sfollati e coloro che hanno visto le proprie case distrutte da un momento all’altro sono già soli, con le proprie forze e con quelle dei tanti volontari che si sono affiancati loro in queste ore. La vicenda del fiume Misa che scorre dentro la cittadina di Senigallia è un altro dei casi “all’italiana”, già visto. Ora però ci si comincia a chiedere seriamente se tutto ciò fosse evitabile.
La convinzione che sta prendendo piede, infatti, è che dietro il dramma ci sia certamente l’imprevedibilità del clima, ma anche la responsabilità di una mancata prevenzione, bloccata dalla burocrazia e dalla cattiva gestione delle risorse, oltre che dal cambiamento di piani sopraggiunti con il cambio di governo del 2018.
Come scrivono oggi diversi quotidiani nazionali, i Carabinieri forestali stanno indagando sui lavori di manutenzione e pulizia dei corsi d’acqua marchigiani, nel fascicolo aperto a carico di ignoti dalla procura di Ancona per omicidio colposo e inondazione colposa. Dagli uffici della Regione sono stati già acquisiti alcuni documenti necessari, mentre continuano a svolgersi sopralluoghi lungo le sponde di fiumi e torrenti coinvolti nella tragedia.
Ma i fondi per mettere in sicurezza l’intera area colpita dall’alluvione c’erano, visto che già nel 2014, con l’esondazione che causò 4 morti e 180 milioni di euro di danni, il governo a guida Renzi stanziò 45 milioni di euro proprio per la “Sistemazione idraulica Fiume Misa”. L’operazione venne effettuata nell’ambito del piano ItaliaSicura, poi portato avanti dal governo Gentiloni. Il problema, però, come in ogni caso italiano che si proclama tale, lo si trova nella burocrazie e nelle sue tempistiche.
“Avevamo messo i soldi, ma il progetto è stato fatto nel 2020”, ha detto ieri Renzi, realizzando che “così il cantiere apre nel 2023”. Nove anni per iniziare lavori che andavano fatti subito, nell’immediato. Le istituzioni scollate dalla realtà e dal Paese, la burocrazia che colpisce la carne viva della popolazione, mentre in situazioni di emergenza ciò che conta maggiormente è la rapidità. Senza considerare che i primi progetti per quell’area, ha spiegato l’ex sottosegretario alle Infrastrutture del governo Letta a capo della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico di ItaliaSicura, Erasmo De Angelis, “risalgono agli anni ‘80”. Quell’opera, a monte di Senigallia, avrebbe infatti “mitigato i danni causati da questa alluvione”. Ma nulla di tutto ciò si è poi pienamente realizzato, solo progetti e proclami.
Se i fondi erano stati stanziati, ci si chiede, come è possibile che non siano stati realizzati? Di fatto, emerge che l’Iter è rimasto impantanato tra il 2018 e il 2020, dopo lo stop dato dal governo Giuseppe Conte a un mese dal suo insediamento, che ha dismesso la struttura di missione di ItaliaSicura trasferendo le competenze al ministero dell’Ambiente. Decisione poi anche avversata dalla Corte dei conti a fine 2021.
Il piano che lo doveva sostituire, ProteggItalia, è un progetto ancora non attuato che prevede risorse per 14,3 miliardi di euro fino al 2030, che però ha portato “un’eccessiva proliferazione e frammentazione delle piattaforme e dei sistemi informativi”. Bloccando “sia l’adozione dei processi decisionali che quelli attuativi”, portando a tutta una serie di rimpalli amministrativi, come spiega Il Messaggero, con vari passaggi di competenze e ulteriori blocchi dovuti alle Valutazioni di impatto ambientale per l’assegnazione dell’appalto per i progetti. Fino alle “difficoltà con gli espropri” e al fatto che “la ditta assegnataria dei lavori ha contestato i compensi”.
Così tra la popolazione, alle prese con fango e macerie, cresce ogni giorno, anzi ogni ora, la rabbia, e c’è sempre più voglia di capire di chi siano le colpe. Ma soprattutto, come ora si pensa di porvi rimedio.