La Verità, ecco il verbale choc: che svergogna i Benetton

“Tutti sapevano del rischio crollo. La sicurezza? Era autocertificata”, le parole del super manager Mion ai magistrati

Il verbale che viene pubblicato in esclusiva dal quotidiano “La Verità”. A parlare è Gianni Mion, 79 anni, originario di Vo’ (Padova), è stato amministratore della holding della famiglia Benetton, delegato, la Edizione, dal 1986 al 2016, consigliere di amministrazione sia di Autostrade per l’Italia sia della sua vecchia controllante, Atlantia. Il peso specifico di Mion lo lasciamo precisare al pm genovese Massimo Terrile: “È l’inventore dell’impero Benetton, è quello che ha indotto la famiglia Benetton, a buttarsi nel business delle autostrade e ha costruito, come dire , l’architettura del sistema Benetton, in cui i vari fratelli uno si occupava di autostrade e l’altro si occupava dei golfini colorati e di quant’ altro Mion e come dire il Richelieu mettiamolo cosi, è il Richelieu del Re Sole famiglia Benetton“. Il 13 luglio 2021, dopo la chiusura delle indagini preliminari, il consigliere è stato sentito in gran segreto da Terrile, quale il, poi, ha utilizzato quel verbale come indizio decisivo durante l’udienza preliminare. Infatti il ​​documento descrive un evento considerato chiave per tutta questa storia. Mion introduce così l’argomento: “Periodicamente si organizzano degli incontri, che noi chiamavamo di induction, nel corso dei quali sono stati presentati e temi vari, alla presenza di tutti i consiglieri di amministrazione di Atlantia, dei membri dei collegi sindacali, degli amministratori delegati delle società del gruppo, dei direttori generali, del management tecnico di vertice“.

L'imprenditore
L’imprenditore Luciano Benetto ha creato un impero (Ansa)

Quell’appuntamento è fumante entrato nel processo quasi come una pistola, usata contro diversi imputati, ma non contro Benetton o Mion, che ne ha parlato in Procura. Alla fine questi signori sono rimasti fuori dall’inchiesta e nessuno è andato ad acquisire documentazione negli uffici del Richelieu di Treviso e nella sede della holding Edizione e della subholding Sintonia. Forse i magistrati hanno preferito non disperdere le forze e si sono concentrati sulle responsabilità dirette degli imputati per il disastro. Ma Terrile durante l’udienza preliminare che ha portato al rinvio a degli indagati, ha più volte citato il verbale di Mion. Una bomba di cui gli avvocati hanno ben compreso l’importanza. Per questo vale la pena di analizzare al microscopio quelle dichiarazioni. In particolare laddove Mion fa riferimento alla riunione: “Per me quell’incontro è stato memorabile. Parlavano i tecnici e illustravano varie tematiche legate alla gestione delle gallerie e dei viadotti della rete. Ad un certo punto, si arriva a parlare del viadotto Polcevera, che tutti noi sapevamo essere l’opera d’arte più importante, più prestigiosa e anche più complessa dell’intera rete nazionale. I tecnici spiegarono che il viadotto Polcevera aveva un difetto originario di progettazione“, ha detto Mion. Terrile in aula gli ha fatto l’eco: “I tecnici spiegarono che il viadotto Polcevera aveva un difetto originario di progettazione… non so se e chiaro il concetto perché io l’ho letto tre o quattro volte per essere sicuro. Siamo nel 2010 ei vertici di Aspi, riuniti in questa induzione, discettano tra loro di un difetto di costruzione che affligge il viadotto Polcevera”

Il verbale della vergogna: le accuse

Il crollo
Il momento in cui viene demolito il Ponte Morandi (Ansa)

Insomma, per l’accusa, a far crollare il ponte potrebbe essere stato “un difetto di cui si parlava già nel 2010“. il difetto originario Il magistrato vuole sapere di quale problema si trattasse. Mion non sa rispondere (“Io non sono in grado di descriverelo, essendo passato tanto tempo e non avendo alcuna competenza tecnica“), ma ricorda un’informazione sconvolgente che acquisì in quella riunione: “I progettisti tecnici spiegarono che quel difetto di creava delle perplessità sul fatto che quel ponte potesse stare su“. Terrile ripropone con enfasi davanti al Gup tale virgolettato: “Quel difetto di progettazione creava delle perplessità tra i tecnici di Autostrade, riuniti alla presenza di Castellucci nella riunione di induction del 16 settembre 2010 sul fatto che il ponte potrebbe rimanere su“. Il pubblico ministero si indigna: “A me fa impressione ‘sta roba qui“. Poi ricorda che a quella riunione parteciparono, oltre a Mion, Castellucci e l’allora direttore generale Riccardo Molloche in quel momento sono i due massimi rappresentanti dell’azienda“. Per la pubblica accusa le parole di Mion sono terribili, ancor più perché pronunciate da uno che non solo “è la voce dei Benetton dentro Autostrade, attraverso la società Edizione“, ma e anche “uno che non deve scansare alcun rischio di responsabilità perché lui proprio con questa roba qui non c’entra“. Quella di Terrile sembra una certezza granitica. E così il racconto del manager può fluire in tutta la sua enormità, ma come se il resoconto di un osservatore sceso da Marte: “Ricordo perfettamente che io, ad un certo punto, intervenni, da completo incompetente qual fosse ero, e chiesi se fosse necessario qualche ente esterno che aveva attestato la sicurezza strutturale di questo ponte cosi importante e così complicato. Siccome gestivamo la rete in regime di concessione, io pensavo ad una attestazione di sicurezza da parte della concedente o di un ente di fiducia della concedente. A quel punto, Mollo mi rispose – lo ricordo come fosse adesso – che la sicurezza del ponte ce la autocertificavamo“.

Terrile parafrasa per gli astanti: “Noi la sicurezza del ponte ce la autocertifichiamo, non rompete le scatole, non disturbate il manovratore, non parlate al conducente“. Il pm rimarca più volte l’espressione “ce la autocertifichiamo” perché Spea era “roba loro“. La voce di Mion entra in udienza come quella di Girolamo Savonarola, ricordando ai presenti i loro peccati: “La cosa mi lasciò allibito e sconvolto, anzi, più esattamente, terrorizzato. Mi sembrava assurdo che, essendo tutti consapevoli dell’esistenza di un difetto di progettazione in un’opera così importante, non chiedessimo una verifica esterna e terza della sua sicurezza, da condividere con il concedente. Tanto più che si trattava di un’opera con circa 50 anni di vita, i cui materiali erano necessariamente usurati e che aveva dovuto dovuto sopportare, nel corso di quegli anni, un enorme incremento del traffico veicolare, anche pesante“. Lo j’accuse prosegue implacabile: “Ma questa cosa sembrava assurda soltanto a me, perché constatavo che, invece, a tutti gli altri partecipanti a quell’incontro (tra i quali c’era ovviamente anche Castellucci) sembrava normale tutto, che nessuno si preoccupava e che nessuno aveva doppiato di nessun genere. Mollo garantiva che le verifiche eseguite all’interno del nostro gruppo, tramite Spea, escludevano qualsiasi problema di sicurezza del viadotto e tutti, a parte io, erano soddisfatti di questa garanzia“.

Un atto di accusa mai visto e sentito

La protesta
La protesta di alcune persone per la concessione di Autostrade alla famiglia Benetton (Ansa)

Mion è di diverso avviso: “Io, invece, mi sentivo tutt’ altro che tranquillo, non mi fidavo, non condividevo il perché metodo, in una situazione del genere, mi pareva assolutamente indispensabile coinvolgere il ministero, e cominciai così, proprio da quel momento, a pensare di allontanarmi dalle mie posizioni di responsabilità e di lasciare quindi l’incarico di consigliere di amministrazione di Atlantia, cosa che feci poi attorno al 2013”. Dunque la voce, gli occhi, le orecchie dei Benetton, come le tre scimmiette, batte in ritirata anziché provvedere un lontano invertire la rotta. Terrile rimarca responsabilità che Mion “è uno che per decenni ha deciso vita, morte e miracoli di tutto quello che succedeva in tutto il gruppo Benetton“, ma non gli contesta alcuna. Per la toga è una specie di Grillo parlante e non un complice. Un uomo per bene che si scandalizza di fronte a quello scempio. Peccato che potesse, forse, provare a porvi indicazione. Infatti il ​​manager non è un passante, ma il più influente rappresentante della proprietà. È il braccio operativo degli imprenditori trevigiani, ma quando ascolta le enormità che gli tocca sentire sul Morandi, per l’accusa, conta come il 2 a briscola. Non può denunciare la cosa all’autorità giudiziaria, non può avvertire il ministero, non può chiedere ai Benetton di correre ai ripari. No, lui nella riunione di induction fa praticamente la bella statuina. Anzi, inorridisce. “Io non c’entro” Anche se davanti ai magistrati prova a evitare coinvolgimenti giudiziari con questa precisazione: “Non ho mai avuto ruoli all’interno di Autostrade per l’Italia (anche se ha fatto parte del Cda, ndr). Ci tengo a sottolineare che Edizione è sempre stato, e ha sempre voluto essere, un investitore professionale e non un socio gestore, perché questa era la volontà della famiglia Benetton, cui Edizione faceva capo, e erano queste, del resto, le mie competenze , che sono sempre state competenze in materia di finanziari, e mai di gestione. La Procura deve aver accolto l’obiezione. Nella faccia a faccia tra Mion e Terrile si è discusso anche del ruolo dei “fratelli Benetton“.

Chi si occupava del settore delle autostrade, chi era il suo riferimento e il suo interlocutore abituale in quel campo?” domanda il pm. E Mion replica che “era Gilberto”. Il quale, puntualizza, però, subito il manager, “è deceduto nel 2018“. In sostanza se mai in Procura a qualcuno fosse venuto in mente di dare la caccia alla “sacra famiglia” sarebbe stato necessario far rotta sul camposanto. Richelieu è chiaro: “Gilberto era l’unico che si interessava di autostrade ed è sempre stato il mio unico interlocutore al riguardo. Gli altri fratelli non solo non si sono mai occupati di questo settore, ma anzi, sotto molti aspetti, lo soffrivano, perché ritenevano che le vicende che lo interessavano producono negativi sull’immagine e effetti sulla comunicazione Benetton così come si era consolidato nel tempo e affermata in tutto il mondo“. Mionfida che, inizialmente, la privatizzazione, le sue interlocuzioni con gli assunti con delegati, Vito Gamberale e Castellucci (“entrambi scelti e dopo me“) “erano pressoché quotidiane” e lui rappresentava “il costante e pressoché esclusivo tra la famiglia Benetton ei massimi responsabili della gestione

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