E’ il paese più filo-atlantico, ma grazie alla destabilizzazione generata dalla Russia sull’Ucraina sta guadagnando molto
In questa terribile crisi europea il destino ha riservato alla Norvegia un posto formalmente corretto, ineccepibile dal punto di vista dei contratti. Eppure, sul piano politico ed etico, scomodissimo e ambiguo. Non esiste Paese dell’Alleanza atlantica che benefici di più dell’invasione sferrata da Vladimir Putin contro l’Ucraina, né della guerra economica scatenata da Mosca ai danni dell’Unione europea. Ogni abuso di Putin, ogni ricatto, ogni azione pensata al Cremlino per generare insicurezza e far salire i prezzi del gas o del petrolio: tutto ciò che arriva da Mosca genera dividendi crescenti per la Norvegia, il maggiore produttore di idrocarburi d’Europa occidentale. Così uno dei Paesi più filo-atlantici riceve oggettivamente molto, sul piano finanziario, grazie alla destabilizzazione alimentata dalla Russia.
La Norvegia si trova di fatto a ricevere un «bonus Putin» che potrebbe valere – se questi prezzi del gas persistono – ben oltre il 5% del suo prodotto interno lordo all’anno. Se distribuito alla popolazione del Paese nordico, il bonus Putin diventerebbe un assegno annuo equivalente a circa 5 mila euro per abitante. Quanto a questo, i dati riportati da Eurostat sulle importazioni di gas naturale nell’Unione europea sono emblematici.
La Norvegia ha aumentato di dieci volte le proprie entrate
L’agenzia statistica mostra come prima della crisi, in un mese ordinario, il fatturato delle forniture di gas naturale del colosso pubblico di Oslo Equinor in Europa fosse di circa duecento milioni al mese. Per esempio nel gennaio del 2020, prima della pandemia, la Norvegia vendeva metano in Europa per 256 milioni di euro; l’anno dopo – gennaio 2021 – le economie del continente erano ancora fiaccate dai lockdown e il fatturato del gas norvegese era sceso a 210 milioni. Ma andando avanti di un altro anno, quando la guerra ormai appariva imminente, nel gennaio di quest’ anno la Norvegia fattura per il gas in Europa due miliardi di euro. La crescita è quasi di dieci volte e corrisponde a un aumento di circa un terzo delle quantità vendute e a un aumento di prezzo spot da meno di 20 euro per megawattora all’inizio del 2021 a circa 90 euro a megawattora all’inizio del 2022. Grazie alle vendite di gas all’Ue nel 2020 la Norvegia ha fatturato due miliardi di euro; nel 2021 sei; quest’ anno quasi dieci solo nei primi sei mesi dell’anno.
A questi vanno poi aggiunti altri tre o quattro miliardi di vendite a Paesi europei esterni alla Ue. In sostanza il Paese sta moltiplicando per dieci le entrate da esportazione di metano, con ricavi straordinari forse da oltre venti miliardi di euro l’anno rispetto alla norma prebellica. Non c’è dubbio che l’azione e la volontà di Putin abbiano inciso su questi aumenti. Gazprom, il colosso di Stato russo, ha deliberatamente ridotto le forniture dall’estate del 2021 per ostacolare gli stoccaggi in Europa e poi ha decurtato le spedizioni di gas verso l’Europa da venerdì 17 dicembre, in previsione della guerra. Putin voleva così far salire i prezzi, generando insicurezza. E la Norvegia ne ha oggettivamente avuto un dividendo. Nell’aprile scorso, dopo due mesi di guerra in Ucraina, il prezzo del gas sfiorava i cento euro a megawattora e Equinor incassava dai partner europei 2,2 miliardi di euro: dieci volte più di un anno prima. Gli introiti dell’estate 2022 non sono ancora noti, ma sono senz’ altro ancora più alti perché i prezzi da aprile sono almeno raddoppiati. Né il governo di Oslo, né Equinor hanno mai mirato a tutto ciò. L’enorme aumento dei ricavi dipende dall’applicazione di contratti liberamente firmati dalle parti prima della guerra. Ma il paradosso del «bonus Putin» resta comunque profondamente imbarazzante per i norvegesi. Si arricchiscono grazie alle difficoltà del resto d’Europa. E non hanno mai esteso un solo gesto di solidarietà finanziaria .