I danni causati dalle esplosioni avvenuti nello stesso giorno su tre linee di sistema dei gasdotti Nord Stream non hanno precedenti
Il gasdotto Nord Stream tiene accesi i riflettori della cronaca internazionale non solo per una nuvola di gas metano che sta sorvolando l’Europa del nord dopo le quattro esplosioni degli scorsi giorni, ma perché non si hanno ancora certezze su cosa e come sia realmente accaduto nel Mar Baltico.
Il progetto parte nel 1997 quando Gazprom e Neste, azienda petrolifera finlandese, creano North Transgas Oy per la costruzione e l’esercizio di un gasdotto dalla Russia alla Germania del Nord attraverso il Mar Baltico, senza attraversare Polonia, Bielorussia, Ucraina, né nessun altro Stato baltico.
Il mistero delle esplosioni
Quando lunedì scorso i sismografi della zona hanno registrato le prime due esplosioni, immediatamente l’Europa intera ha capito che molto probabilmente nulla sarebbe stato come prima, almeno per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas e per il suo prezzo quotato alla borsa di Amsterdam. Le prime esplosioni hanno danneggiato il Nord Stream 2, e la fuoriuscita di gas si è interrotta soltanto sabato. Le seconde esplosioni hanno coinvolto anche il Nord Stream 1, e le perdite si sono fermate oggi. Quando sono iniziate le fuoriuscite di gas, i gasdotti non erano in funzione, ma erano comunque pieni di gas naturale, e ora a causa delle esplosioni sono inutilizzabili. Subito sono cominciati i rimpalli di responsabilità, le accuse reciproche, con gli Stati Uniti ancora una volta a giudicare e influenzare l’opinione pubblica da lontano, mentre l’intera Europa trema al pensiero di cosa potrebbe accadere da domani.
Le ipotesi possibili sulle responsabilità
Secondo fonti della rivista tedesca Spiegel, rilanciate anche dall’inglese The Guardian, le esplosioni avrebbero causato la rottura dei tubi in quattro punti e sarebbero state ottenute con 500 chilogrammi di tritolo. Ogni gasdotto è costituito da un tubo di acciaio spesso 4 centimetri e avvolto in 11 centimetri di calcestruzzo, una sezione lunga 12 metri pesa circa 24 tonnellate. I tratti dei gasdotti colpiti si trovano a una profondità compresa tra 70 e 90 metri, e tre di essi sono distanti circa 15 chilometri da una rotta commerciale molto frequentata. Il quarto punto colpito, sul gasdotto Nord Stream 2, si trova invece 80 chilometri più a sud, in un’area di scarso passaggio. “A piazzare le bombe che hanno provocato quattro falle a circa 80 metri di profondità nelle zone economiche esclusive di Svezia e Danimarca potrebbero essere stati i robot di manutenzione che operano all’interno della struttura del gasdotto durante lavori di riparazione”, queste le rivelazioni giornalistiche che aprirebbero scenari diversi per cercare di capire le responsabilità.
Le responsabilità della Russia
Già questo fine settimana dei sommozzatori oppure un robot telecomandato potrebbero procedere alla rilevazione dei danni, anche allo scopo di determinare di che tipo di esplosione si sia trattato. Se dovesse essere confermata la natura dell’esplosione riportata dai quotidiani tedeschi e inglesi, appare chiaro che potrebbe esserci stato lo zampino della Russia. Ma il fatto che i gasdotti, al momento dell’esplosione, non fossero in funzione, è anche la principale argomentazione di chi ha dei dubbi sulla responsabilità della Russia, dato che i gasdotti appartengono a Gazprom, la società energetica statale russa. Le ragioni per cui il presidente russo Vladimir Putin avrebbe dovuto sabotare i suoi stessi gasdotti restano così senza una spiegazione logica.
Il pericolo chimico
L’Agenzia finlandese per l’Ambiente, la Syke, ha subito segnalato che la prima perdita è stata rilevata nel bacino danese di Bornholm. Ovvero dove si trova la più importante discarica di armi chimiche del Baltico. Anche se secondo la stessa Syke “è probabile che l’impatto delle perdite di gas sulle armi chimiche sia minimo, poiché sono sepolte a diversi chilometri, ma gli effetti sono ancora incerti”.