La giustizia italiana vuole che l’ex calciatore vada in prigione, ma il presidente brasiliano per un patto con l’ex milanista si rifiuterà di accettare le richieste del Belpaese
L’Italia vuole Robinho, ma Bolsonaro è pronto a dire di no. Non è ancora ufficiale ma presto lo diventerà. Il Ministero della Giustizia italiana ha inoltrato al Brasile la richiesta di estradizione per l’ex attaccante del Milan, condannato, come si sa da mesi, in via definitiva, assieme ad un amico, a 9 anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo su una 23enne albanese, che subì abusi in un locale a Milano la notte del 22 gennaio 2013. Da ricordare che il Brasile non è solito concedere l’estradizione ai suoi connazionali, ma questa volta ancora di più.
E’ una vicenda contorta che farà discutere parecchio. Ma a breve ci sarà una comunicazione ufficiale da parte dello staff del presidente del Brasile. I principali media brasiliani, soprattutto quelli che non sono favorevoli al presidente in carica, parlano di un patto segreto tra Bolsonaro stesso e Robinho per l’appoggio elettorale in queste presidenziali, a patto che non accetti le possibili richieste provenienti dall’Italia. Detto e, presto, sarà fatto.
In Brasile danno per certo il rifiuto alle richieste dell’Italia, come con Battisti
A febbraio la Procura aveva inoltrato al Ministero la richiesta di estradizione e il mandato d’arresto internazionale per l’ex attaccante e per il suo amico Ricardo Falco, entrambi in Brasile. In questi mesi ci sono stati contatti tra le autorità italiane e brasiliane ed è probabile che sia stato indicato, poi, formalmente dal Brasile dove si trova l’ex milanista e di conseguenza l’Italia ha trasmesso gli atti del mandato d’arresto (non eseguito allo stato) con richiesta di estradare Robson de Souza Santos, 38 anni e quattro stagioni in rossonero tra il 2010 e il 2014, e l’amico.
E’ molto probabile che i due non saranno consegnati perché la Costituzione brasiliana non consente l’estradizione dei propri cittadini. Ora, comunque, spetterà alle autorità brasiliane rispondere alla richiesta italiana. La Suprema Corte aveva reso definitivi i 9 anni decisi dal Tribunale milanese, a seguito dell’inchiesta del pm Stefano Ammendola, e confermati dalla Corte d’appello. Per l’ex attaccante e per l’amico nel corso delle indagini non erano state emesse misure cautelari, mentre altri uomini, che avrebbero preso parte alle violenze, non erano stati trovati.