l leader di Fratelli d’Italia: “Ereditiamo una situazione molto difficile che non dipende da noi e che ci verrà attribuita anche da chi l’ha determinata”
Altro che inciucio. La versione circolata con insistenza nelle ultime settimane di Mario Draghi e Giorgia Meloni perennemente attaccati al telefono come due giovani innamorati per scambiarsi opinioni, consigli e suggerimenti si è clamorosamente infranta ieri, quando la premier in pectore, di fronte all’ennesimo sfoggio di bravura dell’ex Bce sulla realizzazione ad ipervelocità del Pnrr è sbottata, scrive Libero. “Ereditiamo una situazione difficile», avrebbe detto la presidente di Fdi ai suoi durante l’esecutivo nazionale, «i ritardi del Pnrr sono evidenti e difficili da recuperare e siamo consapevoli che sarà una mancanza che non dipende da noi ma che a noi verrà attribuita anche da chi l’ha determinata“. L’ipotesi del Pnrr che si trasforma in un enorme trappolone dentro il quale far cadere il nuovo esecutivo non è peregrina. Diversi mesi fa sulle pagine di Libero avevamo prospettato uno scenario esattamente identico.
D’altra parte, che il Recovery abbia grosse difficoltà ad essere messo a terra, non solo per i rincari delle materie prime, ma soprattutto per la scarsa competenza degli enti locali ad occuparsi della fase progettuale (non a caso Cdp e Invitalia hanno creato Capacity Italy, lo sportello tecnico per aiutare i comuni) non è un mistero. E niente di più facile che di fronte ai ritardi che nei prossimi mesi verranno alla luce, tutti punteranno il dito sui nuovi inquilini di Palazo Chigi.
SuperMario assicura: il piano va veloce. Ma Franco lo smentisce nella Nadef
L’attuazione del Pnrr non solo «non è in ritardo, altrimenti la Commissione Ue non verserebbe i soldi», ma nel secondo semestre procede addirittura «più velocemente dei nostri cronoprogrammi originari». Insomma, si va a razzo. Tanto che, ha proseguito il premier uscente, ad oggi «sono già stati conseguiti 21 dei 55 obiettivi e traguardi previsti per la fine dell’anno, e ci aspettiamo di raggiungerne 29 entro la fine del mese». Cosa che farà arrivare altri 21 miliardi dopo i 46 già presi tra anticipo dell’agosto 2021 e prima rata di aprile. Chi ha ragione? Così su due piedi, diciamocelo, verrebbe di darla a Super Mario. Anche solo sulla fiducia. Tutti quei numeri snocciolati, le parole altisonanti di un paio di giorni fa sul Pnrr che è un progetto dell’Italia e non di un governo, per invitare maggioranza e opposizione a proseguire il suo lavoro. Cosa che Draghi, dall’alto del suo rispetto per le istituzioni ma anche confidando nei suoi funzionari che ha piazzato (inamovibili fino al 2026) nella presidenza del Consiglio e nei ministeri proprio per garantire la continuità, è convinto che avverrà nel migliore dei modi: «Spetta al prossimo governo continuare il lavoro di attuazione, e sono certo che sarà svolto con la stessa forza ed efficacia».
Vuoi vedere che Giorgia (e a questo punto anche noi) ha preso una cantonata? Il dubbio c’è. Poi però andiamo a sfogliare la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, Nadef per gli amici, stilata dal fidatissimo Daniele Franco, custode delle finanze pubbliche e abile esecutore delle direttive draghiane, e leggiamo (pag. 3 dell’introduzione) che «l’ammontare di risorse effettivamente spese per i progetti del Pnrr nel corso di quest’ anno sarà inferiore alle proiezioni presentate nel Def per il ritardato avvio di alcuni progetti che riflette, oltre ai tempi di adattamento alle innovative procedure del Pnrr, gli effetti dell’impennata dei costi delle opere pubbliche. Ma come? Ritardato avvio? Andiamo avanti.