Oggi Tommaso Maestrelli avrebbe compiuto cento anni. Il figlio Massimo: “Gestiva la Lazio come una famiglia. Chinaglia il nostro fratello maggiore”
Oggi Tommaso Maestrelli avrebbe compiuto cento anni. Il tecnico che ha legato il suo nome al primo scudetto biancoceleste, ha cambiato la storia del calcio italiano, portando per la prima volta concetti e tattiche che negli anni successivi sono diventati di dominio pubblico. La capacità di saper unire sagacia tattica ad un’umanità fuori dal comune. La grande maestria con la quale ha gestito un gruppo di personalità forti e che ha plasmato ottenendo il massimo.
“Qualcuno pensa che quella Lazio avrebbe potuto vincere di più – ha dichiarato recentemente Giancarlo Oddi, pilastro della difesa laziale di quegli anni – ma credo che senza un personaggio come Maestrelli, capace di domare un gruppo di pazzi scatenati, non avremmo vinto neanche quello scudetto”. Per i suoi giocatori era un padre, per gli avversari un uomo rispettato e temuto, per gli appassionati un personaggio amato e da scoprire. Maestrelli era ben voluto da tutti: Agnelli ha fatto carte false per averlo alla Juventus, Berlinguer e i politici in voga in quegli anni facevano di tutto per conoscerlo. Perchè relegare al solo mondo biancoceleste la sua figura sembra ancora oggi riduttivo. Maestrelli ha vinto due seminatori d’oro, gli è stato dedicato il premio che ogni anno viene assegnato al miglior allenatore. Era apprezzato e stimato da tutti. Perchè in tanti anni di carriera aveva sempre costruito rapporti di stima e rispetto.
La sua squadra ha fatto stropicciare gli occhi, giocando un calcio moderno e innovativo. Con la squadra biancoceleste Tommaso Maestrelli ha costruito un vero e proprio gioiello. “Gli era entrata dentro – conferma il figlio Massimo – e lui si è lasciato trasportare dalla passione che solo una società come la Lazio è in grado di regalare. Soltanto adesso a distanza di più di quarant’anni capisco perchè fece questa scelta”.
Dopo aver allenato Bari, Reggina e Foggia Maestrelli aveva riscosso interessi da diversi club. L’estate del 1971 son tre i club che bussano alla sua porta: la Lazio, la Fiorentina e la Roma. “Nella capitale si trovava benissimo: aveva giocato nella Roma, squadra con la quale aveva indossato la fascia di capitano. In questa città era nata mia sorella Patrizia e conosceva tante persone. Quindi era ben felice di tornarci. Ma chiunque tra la Roma in serie A e la Lazio in B avrebbe scelto la squadra giallorossa. Soprattutto perchè avrebbe dovuto anche sostituire un personaggio amatissimo come Lorenzo. Ma lui scelse la Lazio. Non ebbe dubbi. E ripeto, a distanza di anni ne capisco il motivo: perchè la Lazio ti entra dentro. E’ una cosa diversa da tutte le altre società. E’ capace di generare passione, senso di appartenenza. E lui lo capì fin da subito”.
Alla guida dei biancocelesti compie un capolavoro. Gestisce al meglio uno spogliatoi di pazzi scatenati. Nella divisione degli spogliatoi si mantiene neutrale, ma verso uno dei suoi ragazzi mostrò fin da subito una sorta di venerazione. “Chinaglia era un figlio per lui. E un fratello per me e Maurizio. Si trasferì a casa nostra e ci trattò come dei grandi. Noi avevamo dieci anni, ma per lui era come se ne avessimo diciotto: ci parlava di tutto, non aveva segreti. Con lui ci siamo divertiti tantissimo”.
Massimo Maestrelli vede tante similitudini tra la Lazio di oggi e quella del passato “Oggi come ieri mi sembra che la squadra venga gestita come una famiglia. L’unica differenza è che Ciro un paio di rigori ai suoi compagni li ha lasciati, Chinaglia non lo avrebbe mai fatto. Una cosa è certa, questa squadra va molto più d’accordo rispetto a quella del 1974”.