La centrifuga di X Factor lo ha già risucchiato tra registrazioni dei provini e puntate che stanno per arrivare
Sul palco dell’Orion di Ciampino che lo vedrà chiudere il lungo tour legato all’album. Nei sogni nessuno è monogamo, scrive Il Messaggero, l’ottavo di una carriera di cui fino a qualche mese fa era filtrato pochissimo, fuori dal circuito rap: «E pensare che Dove si balla la mandai ad Amadeus solo un paio di giorni prima che chiudessero le candidature per il Festival di Sanremo. Il successo è andato oltre ogni aspettativa», dice Dargen D’Amico. All’Ariston Dove si balla si è dovuta accontentare del nono posto: mica male, comunque, per uno che fino al giorno del debutto era pressoché sconosciuto al pubblico nazionalpopolare, nonostante venticinque anni di carriera alle spalle. Poi la hit ha permesso al 42enne rapper milanese, autore di alcune delle pagine più importanti dell’hip hop italiano con dischi come Musica senza musicisti.
Nostalgia istantanea e D’io, di collezionare quattro Dischi di platino, un Disco d’oro e svariati sold-out: «E comunque il successo non mi ha cambiato», sorride lui, che ha fatto dell’ironia e di un’attitudine situazionista le caratteristiche principali del suo personaggio. È appena rientrato in Italia da Tokyo: «Ho collaborato con i ragazzi di una società che cura le pubbliche relazioni di piccole aziende italiane che operano in Giappone». A che titolo? «Mi hanno cercato per una consulenza legata a una campagna di comunicazione». Rapper, produttore, personaggio televisivo.
“Non sono niente di speciale, diciamo che sono bravo a trovarmi nel posto giusto nel momento giusto”
Ora pure guru della comunicazione? «Sorprende anche me il fatto che mi vedano così. A X Factor mi hanno chiamato proprio per questo. Ma la verità è che sono un grandissimo truffatore. Sembra che io sia un grande comunicatore, ma sono il primo a non capirmi quando mi riascolto». Si sta dando del bluffeur da solo? «Sì. E lo dico con grande onestà. Sono consapevole del fatto che quello che sta succedendo potrebbe essere solo una parentesi della mia vita, più o meno breve». Eppure per più di una generazione di appassionati del circuito rap è un artista di culto. Non si sente abbastanza stimato?
«Nella definizione di artista di culto non mi ci rivedo: l’ha usata la stampa a Sanremo, perché fino a quel momento il pubblico televisivo non aveva mai sentito parlare di me e bisognava etichettarmi». E quindi? Come mai è in giro da venticinque anni? «Ho avuto la fortuna di scrivere canzoni che sono diventate la colonna sonora di certi passaggi delle vite di quelli che mi ascoltano, come Amo Milano, L’universo non muore mai, Bocciofili, che non possono mancare in scaletta. Ma non credo di aver avuto chissà quale influenza sulla musica italiana». Chiamami per nome, Bella storia, Mille, La dolce vita: diversi successi pop degli ultimi anni portano la sua firma. Sta facendo il finto modesto? «Diciamo che sono bravo a trovarmi al posto giusto, al momento giusto. E che se punto un obiettivo, poi mi impegno a raggiungerlo. Anche se si tratta di scrivere canzonette». In scaletta c’è anche il nuovo singolo Patatine, una ballata che sembra un’antitesi di Dove si balla