I giornalisti della tv pubblica a ruota libera sui social, con insulti ai presidenti di Camera e Senato. Le offese finiscono a Fuortes, che nicchia
Una missione ideologica. «Se queste sono le Camere non oso immaginare il cesso», «Passare da Liliana Segre a Ignazio La Russa mette i brividi», «La Russa e Fontana not in my name» (con sfondo fucsia). Lo fanno sapere su Twitter irreprensibili cronisti con una personale interpretazione del «servizio pubblico». E la valanga piomba a valle in automatico. Gli exploit sono sulla scrivania dell’ad Carlo Fuortes, la commissione di Vigilanza sta preparando un intervento, ma nessuno può fermare l’afflato partigiano della Brigata Mezzobusto, scrive La Verità. La prima a mostrare i muscoli è Sandra Cecchi, ex redattrice del Tg2 ora alla TgR Toscana che sui social sente il bisogno di far sapere ai suoi follower quanto sia raggelata dal nuovo governo: «Agghiacciata da La Russa e Fontana. Not in my name». La sua formazione fra L’Espresso e Gad Lerner (redazione di Pinocchio) è una garanzia. Arriva secondo il giornalista sportivo Marco Fantasia che rilancia l’elegante tweet sulla Camera e sui bagni, mentre la medaglia di bronzo va a un pezzo da 90, Carmela Giglio, corrispondente da Istanbul, che ritwitta «Una Camera ai fasci e l’altra ai talebani. A posto». Roba da far invidia a Gianni Cerqueti, storico telecronista sportivo noto per una polemica con Eurospin sulle uova di Pasqua, che dalla pensione può liberamente scrivere: «La triade pestifera Meloni-La Russa-Fontana è servita a far uscire svariati topi dalle fogne».
La prevalenza dell’ala sinistra. Opinioni. In Rai sono convinti che la Costituzione preveda la libertà di espressione anche se calpesta la linea editoriale e il buongusto. Altri teorizzano che «il protocollo interno di utilizzo dei social ha lo stesso valore di un aeroplanino di carta». Resiste con orgoglio Valter Rizzo, anch’ egli del TgR Toscana, scatenato in proprio e per conto del Fatto Quotidiano, dove tiene una rubrica online. Già il 26 settembre scriveva sul suo profilo Twitter: «Novantanove anni, dieci mesi e 28 giorni dopo la storia si ripete. Dopo il figlio del fabbro abbiamo l’erede naturale. Come allora il Paese si consegna felice e gaudente a chi gli somiglia di più». Tutti cretini. Nel blog del Fatto può meglio spiegare che il Pd ha perso anche le regioni rosse «consegnandole ai neofascisti». Poi maledice Enrico Letta che avrebbe agevolato la «valanga nera». Nessuna sorpresa, la pancia della Rai è questa e la gastrite imperversa. L‘imprinting tardocomunista funziona da anni e sono tanti i nostalgici di Lilli Gruber e della vecchia campagna «abbonato alza la voce» contro Silvio Berlusconi.
Giornalisti del servizio pubblico attaccano sui social
Oggi chi paga il canone senza avere alcuna famigliarità con il pugno chiuso ha due conferme: l’eskimo continua a penzolare dagli attaccapanni e l’elaborazione democratica è ferma alle banalità di Bernard Henri Lévy («quando gli elettori portano al potere Mussolini, Hitler, Putin, la loro scelta non è responsabile»). Tutto ciò rende surreali se non ridicoli gli appelli (anche dell’area dem) di «far uscire i partiti dalla Tv pubblica». Sarebbe il delitto perfetto perché il partito Rai è più rosso di loro. Ad avvalorare la tesi è il silenzio dell’Usigrai, per nulla interessata a far rispettare i più elementari canoni del pluralismo a meno che non si tratti di un esterno: le scudisciate a Marco Damilano sul caso Lévy erano dovute al fatto che non appartiene al club. I borborigmi ideologici hanno prodotto la reazione naturale del centrodestra, nel silenzio assoluto dei media mainstream. «Intervenga immediatamente l’ad Fuortes sul grave caso di Carmela Giglio e Sandra Cecchi che sui loro social hanno insultato le istituzioni di Camera e Senato con un linguaggio d’odio», hanno scritto Federico Mollicone e Daniela Santanché, membri della commissione di Vigilanza in quota Fratelli d’Italia.
«Anche sui social personali dei giornalisti bisogna garantire il rispetto della deontologia professionale, come già approvato in una risoluzione in Vigilanza. L’immagine dell’Italia all’estero (la Giglio ha sede a Istanbul, ndr) non può essere delegittimata in questa maniera inaccettabile». Dura la posizione dei leghisti Alessandro Morelli e Giorgio Bergesio: «È intollerabile che la Rai consenta ai suoi giornalisti di dare il “benvenuto” ai presidenti di Camera e Senato con commenti che sono in sfregio alle istituzioni. Gravissimo che tra questi ci sia un corrispondente estero». Ieri la Lega ha depositato sul caso un’interrogazione al Senato. Camere uguale cesso, fasci, talebani, gente agghiacciata, valanga nera, not in my name. E noi avanti col canone al comitato centrale. Dopo le figuracce in campagna elettorale (un rosario di attacchi a Giorgia Meloni & Company in diretta Tv) arrivano i siluri social. Fuortes, asserragliato nel fortino, ha i dossier sulla scrivania. Attende il nuovo governo per decidere se aprirli o, come al solito, archiviarli.