Per le offese alla pallavolista Egonu le istituzioni accorrono ma davanti alle stelle a cinque punte e agli insulti contro la seconda e la terza carica dello Stato tutto tace
Per le offese a Paola Egonu, pallavolista azzurra che ha già collezionato un certo numero di medaglie, si sono mossi in tanti, scrive Maurizio Belpietro sulle pagine de La Verità. Presidente ed ex presidenti del Consiglio, ministri in carica e chi un tempo ha ricoperto alte cariche istituzionali: tutti a manifestare solidarietà all’atleta veneta nata da genitori nigeriani, stanca di sentirsi trattare da straniera. «Mi hanno chiesto se sono italiana» ha detto al suo procuratore alla fine di una partita. «Tutta colpa di alcune frasi espresse sui social da qualche persona imbecille e ignorante» ha commentato Giuseppe Manfredi, presidente della Federazione volley, il quale ha anche aggiunto che dopo sei mesi intensi d’attività è normale che l’azzurra fosse stanca e stressata. Tuttavia, le parole tranquillizzanti del numero uno della pallavolo non sono bastate e quietare gli animi della politica che, come detto, ha espresso unanime solidarietà alla giovane atleta, anche se qualcuno, come Enrico Letta, ha sbagliato il suo cognome. Ovviamente, sono lieto che uomini con incarichi di governo e altri con seggio in Parlamento si siano fatti sentire manifestando il loro appoggio a Paola Egonu.
Tuttavia, mi chiedo perché invece la politica faccia orecchie da mercante quando c’è da esprimere solidarietà a esponenti politici che non solo vengono offesi quotidianamente sulle piattaforme online, ma ai quali non di rado viene augurata o preannunciata la morte. A chi mi riferisco? Ai neoeletti presidenti delle Camere e perfino ai loro congiunti. Ignazio La Russa non ha fatto in tempo a sedersi sullo scranno più alto di Palazzo Madama che subito c’è stato chi si è incaricato di dargli il benvenuto, con una stella a cinque punte sulla serranda della sede di Azione giovani, il movimento giovanile di destra da cui proviene Giorgia Meloni. Davanti al Colosseo, invece, è comparso uno striscione con il nome della seconda carica dello Stato a testa in giù e la promessa di una resistenza continua. A Torpignattara, altra scritta, questa volta ancora più eloquente: «La Russa boia, speriamo che tu muoia».
Sulla Egonu si sono mossi tutti giustamente, su La Russa e Fontana silenzio
Contro il presidente della Camera, per il momento non sono apparse né scritte sui muri né striscioni. Ma a colmare la lacuna ci hanno pensato il governatore della Campania che gli ha dato del troglodita e una giornalista del Fatto quotidiano che via Twitter ha scritto: «Non dico più, ma come Fontana, disprezzo anche la moglie. Chi si accoppia a tali personaggi come minimo è connivente. Poi forse, magari, è povera, non può separarsi bla bla. Resta la disistima». Da notare l’impiego del delicato verbo, che di solito si usa quando si congiungono gli animali: evidentemente, il disprezzo porta anche a disconoscere qualsiasi tratto umano in colui che si considera un nemico più che un avversario con idee politiche diverse. L’elenco degli insulti è tale che sia per La Russa che per Fontana e la di lui moglie si fa fatica a pensare che, come ha detto il presidente della pallavolo a proposito delle offese a Paola Egonu, sia una questione che riguarda «qualche persona imbecille e arrogante».
Più facile che invece, in certi ambienti politici intolleranti, questo sia il clima. Del resto, Contropiano – giornale comunista online – si è incaricato di difendere gli striscioni e le scritte contro il presidente del Senato, commentando la presa di posizione di Giorgia Meloni. Alla leader di Fratelli d’Italia che lamentava il clima d’odio alimentato durante la campagna elettorale costruita sulla demonizzazione dell’avversario, e accusava diversi esponenti politici che hanno deciso di rendere La Russa un bersaglio, la redazione della testata rossa replicava con un «tanto rumore per nulla», spiegando che si trattava di un semplice striscione, non di una bomba. In fondo, par di capire, il nome di La Russa era «solo» a testa in giù e al presidente del Senato nessuno ha ancora sparato. Ora, per i compagni tutto ciò è la regola: chiunque non appartenga alla loro cerchia e non si professi antifascista tutti i giorni prima e dopo i pasti, è ovviamente fascista e dunque contro di lui la resistenza è legittima. Ma se per Enrico Letta la situazione è incendiaria solo perché gli italiani hanno scelto di non votare lui e il Pd, le fiamme rischiano di propagarsi, coinvolgendo le istituzioni.