E’ arrivata la sentenza definitiva nel processo per moleste tra Kevin Spacey e Anthony Rapp, con relativi commenti dei legali.
Kevin Spacey vede finalmente una luce in fondo al tunnel nel processo per molestie ad Anthony Rapp. Pochi giorni fa vi abbiamo raccontato le dichiarazioni di Spacey durante la deposizione e ieri, dopo mesi di incertezza, la corte federale di Manhattan ha prosciolto il celebre protagonista di House of Cards dalle accuse di molestia.
Ricordiamo che secondo Rapp, Spacey avrebbe tentato di molestarlo dopo una festa, nel lontano 1986, quando Rapp aveva appena quattordici anni e Spacey ventisei. Al momento del verdetto Spacey si è commosso e ha abbracciato i propri legali. Ora ci si chiede se Hollywood sarà nuovamente disposta a reinserire il divo nella spietata macchina produttiva statunitense.
Gli avvocati dei due attori si sono espressi sulla sentenza, a partire dal legale di Anthony Rapp: “La giuria ha parlato. Anthony ha detto la sua verità. Rispettiamo il verdetto della giuria, ma non cambia la verità di Anthony”. Poi l’avvocato di Spacey: “Una giuria intelligente e con un alto grado di educazione. Penso che 11 su 12 giurati fossero diplomati al college, la maggior parte avevano titoli di studio. Si tratta di persone molto brillanti che sono riuscite ad analizzare con attenzione questo caso. Mr. Spacey è profondamente grato a questo sistema giudiziario e in particolare a questa giuria”.
Per finire, anche lo stesso Rapp ha commentato la sconfitta su twitter: “Sono profondamente grato per l’opportunità di portare il mio caso davanti a una giuria, e ringrazio i membri della giuria per il loro lavoro. Portare questa causa in tribunale ha sempre avuto come obiettivo quello di mettere sotto i riflettori un tema importante all’interno di un movimento più ampio contro tutte le forme di violenza sessuale. Mi impegno a continuare la mia lotta per la possibilità di vivere in un mondo e in un contesto lavorativo liberi da ogni tipo di violenza sessuale. Spero sinceramente che i sopravvissuti continuino a raccontare le loro storie e a lottare perché venga fatta giustizia”