Tra la fine dell’anno e i primi mesi del 2023 vanno in scadenza 76 posti nelle partecipate dirette dal Tesoro, ma in gioco ci sono anche i vertici delle indirette
Eni, Enel, Leonardo. E ancora Monte dei Paschi, Poste, la Consip che gestisce gli acquisti della pubblica amministrazione (Pnrr compreso) e Amco, la società del Tesoro sui crediti deteriorati. Bastano questi pochi nomi per intuire il peso specifico della maxitornata di nomine che attende nei prossimi mesi il governo Meloni. Tappa cruciale nella costruzione di un potere che in molti casi è più ampio e profondo di quello riservato a tante delle caselle del totoministri chiuso venerdì sera al Quirinale. Per una destra che dalle parti di Fratelli d’Italia rivendica di essere entrata davvero solo ora per la prima volta nelle stanze dei bottoni da cui era rimasta esclusa, la partita è fondamentale per definire un assetto destinato a proiettarsi nei prossimi anni. Con un potenziale di novità enorme perché il calendario triennale dei consigli di amministrazione fa sì che le nomine in scadenza tra la fine dell’anno e il 2023 sono figlie dell’epoca giallorossa guidata da Giuseppe Conte a Palazzo Chigi e da Roberto Gualtieri al ministero dell’Economia. Cinque Stelle e Pd, ora, dovranno quindi limitarsi a osservare il «cambiamento» dai confini ristretti dell’opposizione.
Nelle partecipazioni dirette del ministero dell’Economia i posti da rinnovare sono 76, 58 nei consigli di amministrazione e altri 18 nei collegi sindacali che in genere viaggiano con un calendario sfalsato rispetto a quello dell’organo amministrativo. Come accade per esempio alle Poste, dove scade nel 2023 il cda con le deleghe a Matteo Del Fante ma non l’organo di controllo. Ma se lo sguardo si addentra nel reticolo delle partecipazioni indirette, cioè delle aziende partecipate dalle società del Mef, i numeri crescono con almeno 100 nomine di primo piano all’interno di una lista di centinaia di posti da rinnovare. Entrano in questo secondo capitolo per esempio il Mediocredito centrale, controllato al 100% da Invitalia, che a sua volta controlla la Popolare di Bari. Ed entrambi gli istituti di credito vanno al rinnovo. Lo stesso accadrà per Trenitalia e Rfi, le due controllate di Fs. Ma, si diceva, più dei numeri sono i nomi a definire l’importanza delle nomine in arrivo. Nel pieno della crisi energetica scatenata dalla guerra in Europa bisognerà in primavera decidere la governance dell’Eni che sotto la guida di Claudio Descalzi, indicato da Renzi nel 2014 e confermato da Gentiloni nel 2017 e da Conte(2) nel 2020, è stato il braccio operativo del premier Draghi nella corsa alla diversificazione (in Africa prima di tutto, di cui è conoscitore profondo) degli approvvigionamenti energetici per svincolarsi dalla dipendenza dal gas russo.
Sono 100 le nomine da decidere da parte del Governo
Meloni dovrà quindi decidere se continuare ad affidarsi a lui anche per i prossimi anni, dall’inverno 2023-24» giudicato dallo stesso Descalzi «il più difficile» fra quelli che ci attendono. Allo stesso 2014 risale la nomina al vertice dell’Enel di Francesco Starace, con cui la nuova maggioranza potrebbe trovarsi presto a confrontarsi sull’idea del ritorno al nucleare che lo vede però piuttosto freddo. Anche per Leonardo, il carattere strategico delle scelte in arrivo è evidenziato dall’accoppiata di guerra e crisi energetica. Oggi alla guida c’è Alessandro Profumo, anch’ egli nominato dal centrosinistra (nel 2017; governo Gentiloni) e confermato dai giallorossi.Tra le partecipate di Leonardo c’è poi Orizzonte sistemi navali, presieduta da Guido Crosetto fino alla nomina a ministro della Difesa.
L’altro grande filone delle nomine in arrivo è quello bancario, che quando si parla di partecipate pubbliche significa prima di tutto gestione delle crisi. La prima, ancora una volta, è quella del Monte dei Paschi, in queste settimane alle prese con l’aumento di capitale che dovrebbe rappresentare il primo passo verso il consolidamento, le nozze e l’uscita del Tesoro. A Siena un cambio, traumatico, è già avvenuto a febbraio, quando il Mef impose Luigi Lovaglio al posto di Guido Bastianini difeso dai Cinque Stelle. Ma in primavera andrà sostituito tutto il cda. E lo stesso dovrà accadere al Mediocredito centrale, portato con Bernardo Mattarella al centro anche del sostegno agli enti territoriali nell’attuazione del Pnrr oltre che titolare della gestione della PopBari. Sullo stesso terreno si sviluppa il ruolo di Amco, la società del Tesoro (l’ad è Stefano Cappiello, dg della direzione su regolamentazione e vigilanza del sistema finanziario al Mef) specializzata nella gestione dei crediti deteriorati