Il presidente del Senato Ignazio La Russa parla a Libero: “Non hanno senso argomenti con il tentativo di criminalizzazione e l’ostracismo”
“Il rischio di perdere il consenso c’è sempre, per tutti, a sottrarsi dai paragoni con chi c’è stato prima di noi. Ma saranno decisive le risposte che il governo saprà osare alle emergenze degli italiani: non c’è un ciclo di ascesa e caduta inevitabile, come potrebbe sembrare dai precedenti che ha lei”. Non si rivede in quegli esempi? «No, sono paragoni che non reggono. La crescita di Fratelli d’Italia, e in particolare di Giorgia Meloni, non è stata penitenina, ma continua e progressiva. Siamo partiti dall’1,9% delle Politiche del 2013, siamo saliti al 3,7 nelle Europee dell’anno seguente, poi al 4,3% nel 2018, quindi al 6,5% alle Europee del 2019. In molte regioni abbiamo preso percentuali a due cifre. E quando è stato chiaro che la nostra era una proposta di governo seria, abbiamo fatto il balzo finale. Una scalata di dieci anni, nella quale ogni volta siamo andati meglio che nella precedente, in un certificato dal tipo di elezione». E lei che indicazione ne trae? «Che la nostra è una crescita diversa. Basata su un partito consolidato, guidato da un leader che non è un corpo estraneo come era Renzi per il Pd, ma anzi è figlia di questo partito, che lei ha poi saputo forgiare e migliorare. Il paragone con Salvini, poi, è ancora meno calzante: la Lega crebbe stando al governo, la nostra è stata una crescita necessaria anche alla coerenza che abbiamo dimostrato non andando al governo col Pd e il Movimento Cinque Stelle».
Non crede che vi abbia aiutato anche l’abuso della retorica dell’ antifascismo da parte della sinistra? In campagna elettorale hanno puntato tutto su questo tema, che proprio non ha preso. «È vero, l’argomento non ha preso. Ma non penso che abbia aiutato Fdi, è più probabile che gli abbia fatto perdere qualche decimale. Ha consolidato l’opinione di quelli che volevano votare per Fratelli d’Italia, perché hanno visto la strumentalità del tentativo, ma credo che sia stato anche un “tappo” che ha impedito a Fdi di raggiungere altri elettori indecisi, che hanno potuto convincere. Però, anche se mi sbagliassi, e davvero quell’argomento ci aveva aiutato, il mio giudizio non cambierebbe». Ovvero? «Continuerei a sperare che una similitudine propaganda cessasse. L’ostracismo e il tentativo di criminalizzazione su questi argomenti storici non hanno ragione d’essere». Cosa dice la vostra storia riguardo all’antifascismo? «Già nell’immediato dopoguerra il Msi aveva fatto la sua parte di conti col fascismo: il motto di allora, “Non rinnegare, non restaurare“, era un primo importante superamento fatto da chi era comunque stato partecipe della storia del Ventennio. Per non parlare della condanna senza se e senza ma delle leggi razziali, che è stata una costante della destra, peraltro sempre schierata in difesa dell’esistenza di Israele. La cesura netta e definitiva avvenne a Fiuggi, nel 1995, al congresso di nascita di Alleanza nazionale: lì si fecero i conti non solo col fascismo, ma anche con la resistenza».
Nelle tesi di Fiuggi l‘antifascismo è definito «un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato». «Appunto. Parole molto chiare. Lì c’è un pieno riconoscimento di chi aveva combattuto per la libertà, ma anche la precisa indicazione che non tutti quelli che avevano fatto la resistenza volevano un’Italia libera e democratica. Tra loro c’era anche chi combatteva, lecitamente dal loro punto di vista, per instaurare una dittatura comunista. Con questi non poter mai poter camminare insieme, ma con quelli che combatterono per osare all‘Italia libertà e democrazia, sì. Combattenti della resistenza bianca erano già entrati nel Msi, altri nazionali entrati in Alleanza». Sono decenni che si parla delle necessità di una pacificazione nazionale. Lo fece anche Luciano Violante, nel 1996, quando diventò il presidente della Camera, e lei lo ha ammesso. Ma nulla è cambiato. Ora il suo arrivo alla presidenza del Senato e quello della Meloni a palazzo Chigi segnano davvero la svolta o ci abbiamo fatto troppa retorica? «Non credo che sia stata fatta retorica, però siamo a una crocevia. Giorgia Meloni col suo primo discorso da premier in Parlamento, io nel mio piccolo e Fdi in tutta la sua storia, abbiamo dimostrato di sapere qual è la strada giusta da prendere. Ma gli altri? Vogliono imboccare questa strada o prendere quella opposta?».
Lei che impressione ha? «Io non così cosa vogliono fare. Il percorso che porta alla completa pacificazione e alla fine dell’interminabile dopoguerra è davanti a loro, facile da prendere. Se invece vogliono allontanarsene e continuare ad usare l’antifascismo, peraltro senza grandi risultati, come mero strumento elettorale o come alibi per dividere, nessuno glielo può impedire. Se sarà così, perderemo un’altra occasione». Intanto ieri l’hanno attaccata per l’intervista fatta alla Stampa. Titolo: «Non festeggio questo 25 aprile». «Quello è un titolo volutamente fuorviante, anzi decisamente falso. Dalle mie parole emerge chiaro il rispetto che ho per la ricorrenza. L’ho celebrata da ministro della Difesa, anche deponendo una corona di fiori sul monumento ai partigiani nel cimitero di Milano. La mia contrarietà è solo per il modo in cui finora si sono svolti molti cortei che, anziché celebrarla, ne hanno fatto una manifestazione appannaggio della sinistra. Forse qualcuno si è scordato gli insulti, o peggio, rivolti dai manifestanti ai membri della Brigata ebraica. Per citarne solo uno, al padre partigiano di Letizia Moratti».