Pubblicato su Cell uno studio della Rockefeller University sulle variazioni individuali dell’odore legate al microbiota cutaneo
La presenza di acidi grassi emanati dalla pelle potrebbe guidare la suscettibilità ai pizzichi di zanzara. In contrasto con la moltitudine di teorie popolari sull’argomento, questa conclusione è stata raggiunta da uno studio, pubblicato sulla rivista Cell, condotto dagli scienziati del Laboratorio di neurogenetica e comportamento presso la Rockefeller University. Il team, guidato da Leslie Vosshall e Maria Elena De Obaldia, ha valutato le variazioni individuali dell’odore legate al microbiota cutaneo, e il modo in cui queste peculiarità possano attrarre o respingere le zanzare.
I ricercatori hanno chiesto a otto partecipanti di indossare calze di nylon sugli avambracci per sei ore al giorno. Nell’indagine, durata tre anni, gli scienziati hanno testato tutte le varie combinazioni di nylon, utilizzando un test olfattometrico per valutare il microbiota della pelle di ogni individuo. Gli studiosi hanno valutato le risposte delle zanzare Aedes Aegypti, la specie responsabile della trasmissione di malattie come Zika, dengue, febbre gialla e chikungunya. Gli esperti hanno scoperto che un soggetto sembrava 100 volte più a rischio di morsi rispetto al meno interessante per le zanzare, e quattro volte più pizzicato rispetto al secondo in classifica, indipendentemente dal tipo di nylon indossato.
Ecco le prove dello studio
“C’è un’associazione molto forte tra gli acidi grassi sulla pelle e il rischio di pizzico di zanzara – afferma Vosshall – i nostri risultati sono stati davvero sorprendenti“. Dopo aver diviso i volontari in base al grado di rischio, gli esperti hanno utilizzato tecniche di analisi chimica per identificare i composti molecolari associati alle preferenze delle zanzare. Questo approccio ha mostrato che la presenza di determinati acidi grassi sembrava guidare la percentuale di suscettibilità. Per confermare i risultati, il team ha arruolato altre 56 persone.
“Alcuni soggetti sono stati coinvolti per diversi anni – commenta De Obaldia – e abbiamo osservato che il grado di suscettibilità alle zanzare restava stabile nel tempo. Questi risultati potrebbero essere utili per lo sviluppo di repellenti più efficaci“. “Non abbiamo avuto modo di provare questa teoria – conclude Vosshall – ma se i nostri risultati saranno confermati, potremmo ideare un approccio in grado di alterare il microbiota della pelle in modo da ridurre l’interesse delle zanzare per i soggetti più vulnerabili. Allo stesso tempo, sarà interessante osservare l’effetto degli acidi grassi su altre specie di zanzare per capire se i parametri di preferenza risultano differenziati“.