Si chiama Giuliano, è di Roma, finito tra gli accusati di un giro di tangenti “di cui non ho mai saputo nulla”, licenziato
Una di quelle storie che ti lasciano senza fiato e ti fanno scoppiare il cuore. E una volta esploso, raccogliere i pezzi non è mai facile. Repubblica racconta una vicenda che apre gli occhi e fa riflettere, una storia come ce ne sono tante, soprattutto in un momento del genere, ma questa è particolare. All’interno di una macchina, nei pressi del centro della capitale c’è un biglietto che si legge dal parabrezza che tocca il cuore. Ce ne sono tanti, ma questo è scritto bene e più si legge, più ti entra dentro. Sono poche righe per entrare nel dramma di un’esistenza appesa, emarginata, spinta all’angolo dalle circostanze. Magari non sta bene, è solo uno sbandato. O un depresso che è rimasto intrappolato in se stesso. Succede. “Vivo in macchina. Se avete bisogno di fare la spesa io ve la faccio e ve la porto a casa per uno o due euro (quello che potete). Sono anche un amante dei cani e se vi può far piacere porto il vostro amico a quattro zampe a fare i bisogni. E un bel giretto. Naturalmente col sacchetto per raccogliere la cacca. Spero di conoscervi e di esservi utile. Grazie. Giuliano“.
Racconta il cronista di Repubblica, “leggi e rileggi, poi cedi e ti avvicini alla Lancia grigia. Dentro Giuliano sta guardando un film sul cellulare, va verso il sonno sul sedile reclinato. Bussi al finestrino. Niente. Riprovi. Niente. Provi ancora. Il finestrino si abbassa“. “Guardi che non voglio niente. Se le do fastidio mi sposto, ma non attacchi con la carità che a me non serve la compassione di nessuno“.
“Ho una moglie e due bambini, ma ho perso anche loro. Alla Caritas non vado perché mi vergogno”
Giuliano si mette a raccontare un po’ la sua storia, parla bene e si vede che è in un momento delicato della sua vita. “Ero un manager di un’azienda fornitrice di acqua ed energia. Avevo una famiglia e con mia moglie abbiamo due bambini. Poi il terremoto. Sono finito tra gli accusati di un giro di tangenti di cui non ho mai saputo nulla, ho provato a difendermi ma non c’è stato verso. Sono stato licenziato. Anche mia moglie non ci poteva credere. Poi sono scivolato in una spirale depressiva e ho perso anche mia moglie. Ora vivo qui, questa macchina è tutto quello che ho. Grazie del suo interessamento, ma non voglio niente“.
Scende dalla macchina, t-shirt nera consunta e stinta, maglioncino di lana sintetica, jeans scuri, scarpe da ginnastica senza lacci, accetta una pizza. Giuliano ha la barba lunga, 50 anni circa. Accetta di parlare. “Ho due lauree, avevo tutto e in un attimo ho perso tutto. Pure mia moglie prima di lasciarmi mi ha accusato di essere stato un padre assente e aveva ragione, ma lavoravo dodici ore al giorno e avevo poco tempo per i bambini. Ora sto così. Faccio lavoretti, campo con poco. In auto mi devo spostare sennò i vigili mi fanno la multa. Alla caritas non vado perché, vabé non vado perché mi vergogno. Sento tanta gente in difficoltà. Con me parlano perché faccio tenerezza. Ma questa crisi è molto più grave di quanto pensiate. Qualcosa da fare capita sempre. Lavoretti semplici da aggiungere a chi mi chiede di fargli la spesa o di far uscire i cani. Mi tengo sempre intorno al centro, raramente mi spingo in periferia. Io chiedo poco, perché mi basta poco per vivere. Per sopravvivere“. Rientra in auto, chiude il finestrino. Domani è un altro giorno anche per lui.