“Due anni almeno”, la storia di una personale pandemia emotiva

L’esposizione dell’artista Margherita Rossi nella nuova mostra fotografica di #apis a Benevento. Una selezione tra gli oltre 3000 scatti complessivi prodotti nel corso degli ultimi due anni

Viaggio immobile nel nulla apparente di case, cose e luoghi interni dell’animo, in uno stato di sospensione durante una pandemia mondiale o in nient’altro che in una pandeMia emotiva. A partire dal 12 novembre, e fino all’11 dicembre, la galleria di arte contemporanea #apis+ a Benevento ospiterà la mostra fotografica “Due anni almeno” di Margherita Rossi, allieva dell’artista beneventano Marco Victor Romano, fondatore dello spazio outsider sulle mura longobarde e curatore dell’esposizione, aperta al pubblico tutti i giorni, ad ingresso gratuito.

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Uno degli scatti della mostra “Due anni almeno” (Ph Margherita Rossi)

Le 63 foto esposte sono parte di una ricerca di carattere artistico-documentativo in case e memorie di due anni almeno, un’unità temporale variabile a seconda di quello che ciascuno ha sentito, per almeno due anni o anche soltanto per due minuti. La selezione tra gli oltre 3.000 scatti complessivi prodotti viene suddivisa in 6 sensazioni cardine, tante quante le pareti della galleria in via Torre della Catena 64: Chiaroscuri, Bianchi, Io-tutti, Orme, Circolare, Dono. Le immagini, di dimensioni diverse e volutamente prive di post produzione per mostrare lo sguardo nudo di chi è dietro l’obiettivo, sono state scelte seguendo un’assonanza di emozioni e associazioni cromatiche che confondono tempo e luogo, privilegiando il momento che tentano di ritrarre. Luigi Ghirri, Francesca Woodman e Robert Mapplethorpe sono alcuni dei grandi fotografi che hanno accompagnato la ricerca di Margherita.

La mostra di Margherita Rossi

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Una foto della collezione di “Due anni almeno” (Ph Margherita Rossi)

Le foto sono scattate con fotocamera Reflex, tendenzialmente sottoesposte e con tempi lunghi per far emergere i tagli di luce, e lo stato d’animo. L’occhio di chi scatta ha posto, e continua a porre, grande attenzione alle gradazioni tonali, ispirate da riferimenti pittorici e cinematografici emersi durante le lezioni con Marco Romano, come gli illustri Michelangelo, Buonarroti e Antonioni. “Un’ispirazione che nasce dalla vita vissuta e da quella che ci è stata per certi versi sottratta. Ho cominciato a studiare fotografia perché appassionata di Street Photography e in un primo momento in casa mi sentivo disorientata e limitata.

Spinta da Marco, il mio maestro, che continuava a ripetermi di osservare ogni angolo, ogni centimetro, ho scoperto un nuovo orizzonte dentro le mura delle mie case, nelle mie cose”, così Margherita ha preso scatti della sua realtà unendoli in un’esposizione. “Mi ritrovavo a chiedermi per quanto tempo sarebbe durato tutto quello che stavamo vivendo. E ‘due anni almeno’ era la risposta che mi davo da sola e insieme al mondo fuori. A Matera, in un viaggio di qualche anno fa, mi hanno raccontato che le costruzioni venivano fatte per sottrazione, tecnica che riflette la mia ricerca: a volte ci si ritrova a dover costruire togliendo e a ricostruire da quello che abbiamo perso, dall’isolamento fisico e mentale che può sorprenderci”.

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