Sofia Goggia e i suoi trent’anni: “Odio le bambole ma sogno di diventare mamma”

La campionessa di sci si lascia andare in una lunga intervista al CorSera dove spiega i suoi e le sue ambizioni nello sport e nella vita

Dai sogni di una bambina fino a toccare il cielo con un dito per poi rivedersi un momento allo specchio e vedere quella che è diventata, cercando di mantenere quel pizzico di follia e spensieratezza di quando era piccina. Una campionessa come Sofia Goggia, amata e rispettata da tutti, rivela i suoi sogni e le sue ambizioni in una lunga intervista al Corriere della Sera.

La campionessa
La campionessa di sci Sofia Goggia mentre festeggia la vittoria nella copa del mondo (Ansa)

Da bambina «Sempre stata attiva e con una testa da competizione. Ero tenace e anche un po’ ansiogena: volevo dimostrare di essere brava ed era un modo per essere accettata. Sono sempre stata più “vecchia”: tra i 10 e i 14 anni ho vissuto con una maturità diversa, probabilmente a causa delle scelte fatte per inseguire lo sport. Nella mia vita non ho mai conosciuto la leggerezza e un po’ l’ho sofferto. Anzi, meglio: mi è mancata la spensieratezza e mi sono dovuta difendere dall’ansia». Ansia perché notava difetti in sé stessa? «No, perché sono fatta così: sono sempre alla ricerca di qualcosa, mi è difficile raggiungere la pace interiore». Com’è stato il passaggio all’adolescenza? «In verità non me lo ricordo. Ma anche da adolescente sono stata molto seria, forse perfino di più di oggi».

Sofia si racconta fin dall’adolescenza. “Non ho trascorsi super-felici. Per conciliare le mie scelte ho inevitabilmente messo da parte le relazioni che si instaurano da giovani. L’esperienza del liceo, ad esempio, quasi non la ricordo: non c’ero mai, ho dovuto iscrivermi in un istituto privato, ero presa di mira da parte di chi frequentava regolarmente”. Intende bullizzata? «Non dico questo, per carità. Ma non ero ben vista: ero in giro per le gare, come tipo ero “scialla”. Uscivo raramente al sabato sera, non sono mai andata a ballare: un po’ per scelta, perché alla domenica dovevo essere sulle piste, e un po’ per indole». Ma Sofia a scuola andava bene? «Sì, lo studio mi è sempre piaciuto. E non mi sono mai sentita dare della secchiona».

“Non giocavo con le bambole, le odio e mi fanno paura, giocavo con i Lego”

La campionessa
La campionessa di sci Sofia Goggia (Ansa)

Da bambina, così ha raccontato, non giocava con le bambole. «Non le ho mai avute. I bambolotti mi fanno anzi paura: quando entro nelle pensioni austriache, dove abbondano, crepo di terrore. È la mia fobia e ignoro da che cosa dipenda». Se non giocava con le bambole, con che cosa si divertiva? «Con i Lego e con le trottole. E andavo molto in bicicletta». Le donne spesso vanno in caccia dei loro difetti: lo fa anche lei? «Vivo nei difetti. Ma con il lanternino cerco di identificare i miei pregi. Accettarsi, per una donna, è sempre complicato». Quanti i flirt giovanili? «Nella mia vita non ho mai avuto tante relazioni. L’amore è sempre stato un capitolo sporadico». Da bambina pensava ad altro per il futuro o lo sci è sempre stato dominante nei progetti? «Vedevo solo quello: a 9 anni, in un tema, ho scritto che di mestiere volevo fare la campionessa di sci. Ho avuto la forza e il coraggio di inseguire l’obiettivo nonostante gli infortuni e le difficoltà del percorso, perché provengo da una famiglia che ha un buon imprinting culturale ma non ha una matrice sportiva».

Ha mai immaginato di diventare professoressa come sua madre? «Per carità! Nell’ultimo anno da privatista, mamma mi dava lezioni di italiano: su Leopardi mi ha fatto un c… che nemmeno immaginate. Le ho dovuto dire che mi aveva rotto le scatole». Ci traccia il bilancio dei primi 30 anni? «Se mi guardo indietro, dico che la Sofia dei 20 anni non avrebbe pensato di ottenere così tanto: ai Giochi ho un oro e un argento, ho vinto gare, medaglie mondiali, tre Coppe del Mondo di discesa; e in questo Paese sono qualcuno. Non immaginavo questo, ma questo è quello che mi ha motivato nel tempo». Si vede mamma, un giorno? «Ora che sbarco nei 30 mi guardo indietro. Ma il prossimo decennio sarà densissimo di cose e una donna, tra i 30 e i 40 anni, se pensa alla maternità deve programmarla. Non so che cosa il destino mi riserverà dopo il ritiro: mi piacerebbe laurearmi e vivere una vita appagante e ambiziosa, ma senza lo sci. E un figlio potrebbe completare il mio essere donna».

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