E’ l’agghiacciante testimonianza di una delle cuoche del centro di accoglienza per migranti gestito dai familiari del deputato
Un pessima figura. Se tutto venisse confermato sarebbe davvero tosta per Aboubakar Soumahoro e la sua famiglia rimettere le cose a posto. “C’era sempre poco cibo e i ragazzi avevano fame, una situazione insostenibile “. Luisa, così la chiama Repubblica per non svelare l’identità di una dipendete che lavorava come cuoca e come interprete in una struttura gestita dal Consorzio Aid nel capoluogo pontino, e conferma le denunce-shock fatte dai migranti minorenni sulle condizioni in cui erano costretti a vivere nei centri portati avanti dalle coop della moglie e della suocera di Aboubakar Soumahoro, operanti nelle province di Roma e Latina. Racconta lei e non si risparmia: “Parlo arabo e ho lavorato lì fino al 31 maggio scorso“. In quella casa erano ospitati almeno dieci minorenni, 5 egiziani e altrettanti tunisini, di età compresa tra i 14 e i 17 anni. “Le condizioni erano pessime. Non compravano vestiti ai ragazzi. Quando gli ospiti sono arrivati hanno ricevuto una tuta, un pigiama, un paio di scarpe, uno di mutande e una giacca. Poi basta”. “Dovevano uscire e lavorare per potersi vestire”, aggiunge.
Per i ragazzini che sarebbero stati costretti a soffrire il freddo non c’erano tante soluzioni, una condizione davvero brutta a quanto racconta l’interprete. “Chiedevano coperte – ricorda Luisa – i termosifoni non funzionavano bene e la caldaia spesso andava in tilt, col risultato che non c’era sempre acqua calda“. Ai minori non sarebbe stato garantito neppure il pocket money di 10 euro a settimana. Proprio come era stato denunciato in passato da migranti adulti ospiti di altre strutture gestite dalla Karibu, che nel corso degli anni si sono resi protagonisti di proteste eclatanti.
“C’erano sempre difficoltà col cibo e a volte la responsabile pagava di tasca sua…”
“A quei ragazzini – assicura la cuoca – non davano quasi mai la cosiddetta paghetta e quando sono stati trasferiti erano 4 mesi che non la vedevano“. I minori avrebbero però dovuto fare i conti anche con la fame. “C’erano sempre difficoltà col cibo – sostiene la cuoca – e a volte la responsabile spendeva di tasca sua per far mangiare qui i minori. Io mi dovevo arrabbiare per far portare degli alimenti. Ma la spesa non bastava“. Luisa afferma che di quel problema ha parlato spesso con la stesa suocera di Soumahoro: “Doveva provvedere lei alle forniture, ma il cibo appunto era poco e non dava spiegazioni. Quando la chiamavo diceva di far mangiare ai ragazzi il riso in bianco“.
Senza contare che, come appunto denunciato da diversi minorenni, la struttura sarebbe rimasta anche senza luce. “Non pagavano le bollette, dicevano che non avevano soldi – dichiara la 36enne – e per dieci giorni siamo rimasti senza corrente elettrica”. Infine la piaga dei mancati pagamenti ai dipendenti. “A noi – conclude Luisa – i pagamenti non arrivavano mai. Io ero anche incinta. Ho quattro bambini e senza soldi è difficile sopravvivere”. La risposta data dalla coop? “Lo Stato non ci paga e noi non possiamo pagare“.