Uno sbaglio clamoroso che ha rovinato la vita di una persona di sessanta anni che si è fidata dei medici sbagliati
Un abbaglio che ha rovinato la vita di una persona. Un clamoroso errore medico commesso all’ospedale San Giovanni di Roma determina una condanna a carico dei medici, con oltre 300mila euro di risarcimento, per aver operato una gamba sbagliata: oltre alla sinistra, quella dolorante e gonfia del paziente, anche la destra, per una presunta ischemia, nonostante l’assenza di sintomi come il dolore o la cattiva circolazione, finendo per provocare l’amputazione dell’arto.
Un 60nnne, antiquario romano, oggi privo dell’arto, si è così rivolto alla magistratura che, ovviamente e naturalmente, gli ha dato ragione condannando l’equipe medica al risarcimento dei familiari della vittima, Adalberto Arcidiacono, nel frattempo è deceduto per altri motivi. Una storia allucinante di una povera persona che si è messo nelle mani dei medici sbagliati.
Operazione alla gamba sbagliata, la condanna dei medici
Il giudice Guido Garavaglia del Tribunale civile ha considerato colpevoli i meedici che intervennero sull’uomo alla fine del 2012 recatosi al pronto soccorso del San Giovanni Addolorata perché avvertiva un forte dolore alla gamba sinistra. La prima diagnosi fu di ischemia alla gamba sinistra, che determinò la necessità di ben 18 interventi diversi, ma anche all’altro arto, al quale la vittima non avvertiva alcun sintomo. Le operazioni, non necessarie, resero poi necessaria l’amputazione della gamba destra a causa di un’ischemia irreversibile dell’arto, dopo un ricovero prima nella clinica Pio IX e poi al San Camillo.
La vedova Juana Eugenia Steffan, rappresentata dagli avvocati Antonio e Marco De Fazi, aveva poi sporto denuncia, col marito ancora in vita. Per il giudice, se gli interventi sulla gamba sinistra furono necessari, quelli sulla gamba destra no. I medici, attraverso il loro consulente, sostengono che l’arto sarebbe stato compromesso. Ma per il giudice «tale giustificazione non trova alcun riscontro nella cartella clinica». Dov’è scritto che «il paziente non lamenta dolore e dall’esame angiografico risulta un circolo adeguato». Le ripetute terapie decise dai medici, per il giudice, avrebbero provocato una trombosi non reversibile con la conseguente amputazione dell’arto. Un caso di malasanità, non il primo e purtroppo non l’ultimo.