In un intervista per Sky Baggio è tornato ai suoi tempi raccontando di come Sacchi e la sua scuola abbiano creato molte difficoltà ai giocatori come lui
Roberto Baggio e Arrigo Sacchi, due nomi che insieme ad ogni italiano un po’ più adulto non possono che far venire in mente quel 17 luglio a Pasadena. Due nomi che hanno segnato un’epoca e hanno lasciato segni indelebili nel nostro calcio, ispirando le generazioni che l’hanno seguiti.
Eppure di punti di incontro tra Roby e Arrigo oltre a quell’estate negli Stati Uniti non ce ne sono tanti, anzi. Da un lato il talento puro, purissimo e anarchico del divin codino, libero di muoversi per il campo e di danzare sull’erba dribblando gli avversari. Dall’altro l’organizzazione maniacale del poeta di Fusignano, il suo 442 frutto di ore ed ore di sala video e di ripetizione di movimenti fino allo sfinimento.
Nel corso di un’intervista rilasciata per Sky Baggio è tornato indietro nel tempo raccontando di quel periodo. Raccontando di come con l’avvento di Sacchi e della sua scuola di allenatori non sia stato facile per lui ed altri trovare un posto nelle squadre di quel periodo. Il problema di quel prototipo di calciatori risiederebbe nella loro collocazione in campo, per i sacchiani, una collocazione mai fin troppo definita. Lui e i “suoi simili” erano giocatori che dovevano esser lasciati liberi di esprimersi, senza troppi accanimenti tattici o rigide imposizioni. Erano talento calcistico allo stato puro, tanto superiori agli avversari a livello tecnico da non poter accettare di doversi abnegare in fase di non possesso.
La colpa, se di colpa si può parlare, per Roby, nasce in fondo da un merito, quello di Sacchi di aver rivoluzionato il calcio italiano a tal punto da aver creato una vera e propria scuola di allenatori che seguiva i suoi insegnamenti. La generalizzazione di un metodo ha così imbrigliato quei giocatori un po’ anarchici come lui o come Gianfranco Zola. “Mi viene da ridere se penso che uno come Zola sia dovuto andare in Inghilterra per avere fortuna”, commenta Baggio riguardo al trasferimento di Magic Box dal Parma al Chelsea dopo l’arrivo di Ancelotti e del suo 442 in Emilia. “Sicuramente l’allenatore è fondamentale, ma questo gioco fortunatamente lo fanno ancora i calciatori“, ha concluso.