Parla Paola De Micheli a Il Giornale, la candidata alla segreteria dem: “Per una donna è più difficile che diventare premier”
Paola De Micheli, è, insieme a Bonaccini, uno dei candidati alla segreteria del Pd. Chi glielo ha fatto fare? Le chiede il quotidiano Il Giornale «C’è un popolo Pd cui va ridato potere di scelta, dopo anni di verticismo. Un popolo consapevole degli errori fatti, che vuole tornare a vincere e ad avere una identità di partito forte, radicale nelle scelte su lavoro, ambiente, legalità ma anche sicurezza, di cui la sinistra non ha mai il coraggio di parlare». Lei ha detto che «è più facile per una donna diventare premier che segretaria del Pd». Perchè? «Non lo dico io, lo dicono i fatti. Siamo il partito che ha fatto più leggi per la parità di genere, anche in politica. Però, poi, a Palazzo Chigi ci va Giorgia Meloni, mentre sembra impossibile che una donna possa scalare il Pd liberamente, senza l’avallo di un pezzo dei soliti gruppo dirigenti e maître à penser».
Si riferisce a Elly Schlein? «Ma no: se Elly deciderà di iscriversi al Pd e di concorrere alla segreteria mi confronterò volentieri con lei, come con Stefano Bonaccini. Certo io non sono una candidata ‘pop’: faccio una vita normale: figlio, scuola, lavoro, studio dei dossier. Non sono neppure una candidata ‘nuovista’: detesto superficialità e istant politics, ho una storia e una carriera politica nazionale, sono stata al governo con diversi premier (Renzi, Gentiloni, Conte ndr) e vice-segretaria con Zingaretti. Per questo conosco bene il Pd e anche l’Italia, ho una proposta chiara sia sulla identità che sul modello di partito. Mi candido per realizzarli e tornare a vincere». Si candida a fare l’anti-Meloni? «Meloni è una donna può farcela da sola, in politica, senza essere scelta da qualcun altro. Ma non ha idea di come aiutare altre donne a farcela, e la sua proposta politica, che guarda al modello ungherese e polacco mi preoccupa molto».
“Va cambiato il nostro approccio. La sinistra deve garantire uguaglianza e tutele”
Per ora il percorso congressuale Pd appare oscuro ai più. «Perdere così, dopo tanti anni di governo, ha prodotto uno stato confusionale anche comprensibile. Ora bisogna scegliere la direzione per uscirne, senza gattopardismi: certo non basta la sostituzione del leader o del gruppo dirigente, lo abbiamo già fatto tante volte. E anche evitare la subalternità a leadership esterne, come è stato con Conte e, in modo diverso, con Draghi». La sua ricetta qual è? «Serve una riflessione profonda per realizzare i valori della sinistra. Siamo alla fine di un ciclo, che ha visto il Pd protagonista di una stagione di governo. Caratterizzata da una visione ottimista sulla globalizzazione e i suoi effetti positivi, dati per scontati. Speranze che non si sono realizzate».
E quindi? «Va cambiato il nostro approccio: le trasformazioni vanno governate e accompagnate. Prendiamo la grande questione climatica: senza una presenza pesante dello Stato, le aziende fanno grandissima fatica a star dentro la transizione ecologica. La sinistra deve garantire uguaglianza e tutele certe per lavoratori e imprese, a cominciare dalle piccole e medie che sono più esposte». Lei però è critica sul Reddito di cittadinanza di Conte. Perchè? «Il modello del Reddito di inclusione, inserito con un’intuizione dell’allora premier Paolo Gentiloni nella Finanziaria del 2018, era migliore: più concreto e realistico. La gestione affidata ai Comuni lo rendeva assai più monitorabile sul territorio, anche se le risorse erano poche. Però sono decisamente contraria al taglio deciso dal governo: si rischia di mettere in crisi milioni di famiglie, e di avallare un approccio punitivo verso chi è povero: la ‘tirannia del merito’ è sbagliata, se si colpevolizza chi non ce la fa si crea solo rabbia, e allontanamento dalla vita democratica».