“Cosa deve succedere perché il mondo smetta di fare affari in Iran?”

L’attrice iraniana Kavani: con il corpo coperto non si può recitare. E poi si chiede: “Che differenza c’è tra Mohsen Shekari e George Floyd?”

Prima di lasciarsi intervistare, fa una domanda: «Che differenza c’è tra Mohsen Shekari e George Floyd?». E risponde: «Quando nel 2020, Floyd è stato assassinato da un agente di polizia a Minneapolis, tutto il mondo occidentale si è indignato e per mesi non si è parlato d’altro, giustamente. Quattro giorni fa il regime iraniano ha giustiziato Shekari, prima impiccagione resa pubblica dall’inizio delle proteste: se ne è parlato per qualche ora». Mina Kavani, attrice di Teheran, protagonista del film Gli orsi non esistono, del regista Jafar Panahi, vincitore nel 2022 del Premio speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, in prigione da luglio, crede che oggi più che mai sia visibile il doppio standard applicato nei confronti del suo Paese.

La protesta
L’attrice iraniana Mina Kavani (Ansa)

Dal festival Vive le cinéma di Lecce, dice: «Giovedì scorso è stato il turno di Shekari, oggi altri due ragazzi sono in attesa di pena di morte. Per non parlare degli oltre 500 ammazzati nelle strade, tra cui decine di bambini. Che cosa deve succedere in Iran perché l’Europa, l’America e tutti gli altri Paesi la smettano di stringere le mani del dittatore Khamenei?». Secondo Mina Kavani, perché non ci sono prese di posizioni forti contro il regime? «Perché gli interessi economici valgono di più dei diritti umani. La situazione rischia di essere esplosiva.

“Noi Millennial eravamo pronti per la rivoluzione, ma il mondo non lo era ancora”

Iran
Attivisti iraniani (Ansa)

L’inflazione va a pari passo con la repressione. Vivere è diventato impossibile». Lei è in esilio. «Me ne sono andata per studiare recitazione a Parigi. Nel 2014, finita la scuola ho recitato nel film Red Rose del regista Sepideh Farsi. C’erano delle scene di nudo. Quando è uscito nelle sale i giornali titolavano: “Mina Kavani, la prima attrice porno d’Iran“. Non sono più potuta tornare». Che cosa vuol dire essere un’attrice in Iran? «Lo odiavo, perché non lo potevo essere. Sono cresciuta ispirandomi a Gena Rowlands, Anna Magnani, Monica Vitti. Come potevo essere la Vitti e avere il suo potere se il mio corpo era coperto? Quando metà della tua esistenza è una bugia non puoi essere una buona attrice. Dalla rivoluzione del 1979 non ho mai visto una vera attrice iraniana. Molti ottimi attori, tutti uomini, non coperti, liberi».

È in contatto con Jafar Panahi? «Tramite sua moglie . È rinchiuso nella prigione di Evin, a Teheran, dove il regime ha segregato gli intellettuali e i dissidenti. Evin è la nostra Harvard. Dice di essere stanco, sono cinque mesi che è dentro, ha una condanna di 6 anni. Sono riuscita a parlare con lui prima di Venezia e mi ha raccontato una storia incredibile: Mohammad Rasoulof, regista iraniano in carcere, continua a fare film anche da dietro le sbarre». Il potere del cinema? «E di certi registi. È stato bellissimo lavorare con Panahi. Io ero in Turchia, lui in Iran, al confine. All’inizio è stato frustrante, difficile, ma la sua arte ha fatto miracoli». Che cosa pensa dei giovani iraniani? «Sono fortissimi. Anche noi Millennial eravamo pronti per la rivoluzione, ma il mondo non lo era ancora. Non è un caso che il movimento “Donna, vita, libertà” sia sorto in un momento dove femminismo, antirazzismo e parità di genere sono diventati temi fondamentali per tutti».

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