Sinisa Mihajlovic, dagli esordi all’amore per la Lazio: dalle sfide impossibili alla lotta contro la malattia: storia di uno dei pochi uomini di valore del mondo del calcio
Negli ultimi anni della sua carriera e della sua vita ha avuto un grandissimo privilegio: quello di essere amato, rispettato e osannato in tutti gli stadi. Dal 13 luglio del 2019, quando annunciò al mondo intero l’inizio della sua battaglia, Sinisa Mihajlovic è diventato l’amico del cuore di tutti i tifosi italiani. E forse, conoscendolo bene, questa cosa neanche gli piaceva troppo.
Nella sua vita, breve, ma intensa e ricca di coraggio, amore e forza, si è guadagnato il rispetto con i comportamenti e le azioni. Con l’umanità che ha sempre messo in tutti i rapporti che è stato capace di costruire. E con lo spirito indomabile di un guerriero. Uno che ha affrontato la guerra e gli attaccanti avversari con la stessa grinta, provando a non farsi intimorire da nessuno. Neanche dall’unico avversario che non è riuscito a sconfiggere. Da quella maledetta malattia che lo ha trascinato nel Paradiso degli eroi, ma che per avere la meglio sulla sua indomabile scorza, ha dovuto sudare le fatidiche sette camicie.
Perchè Sinisa Mihajlovic ha lottato con tutto se stesso. Come ha sempre fatto in tutta la sua vita. Come quando giovanissimo ha vinto una Coppa dei Campioni con la Stella Rossa, o quando è stato capace di riprendersi dalla sfortunata prima avventura italiana (nella Roma del suo mentore Boskov) rilanciandosi alla Sampdoria. O quando si è tolto tutte le più grandi soddisfazioni della sua carriera, diventando un pilastro della Lazio più forte della storia, capace di vincere uno scudetto, una Supercoppa Europea, una Coppa delle Coppe e tanti altri trofei. Grazie alle sue giocate, a quel piede sinistro in grado di alternare conclusioni imprendibili e assist deliziosi; punizioni dalla potenza inaudita e parabole che sembravano disegnate dalla mano di un grafico. Anni intensi, belli e terribilmente complicati. Con la guerra che devastava la sua Terra d’origine, con le contestazioni della sua Curva che lo insultava.
Ma come spesso gli è accaduto, è proprio nei momenti difficili che Sinisa Mihajlovic è stato sempre in grado di reagire. Solo uno con la sua tempra poteva trasformare gli insulti negli applausi: si è ripreso l’amore del pubblico della Lazio, che ha lasciato nel 2004 con una Coppa Italia, dopo sei anni di amore, vittorie e passioni. Trasferendosi all’Inter, ha chiuso la sua carriera portando in bacheca un altro scudetto e due Coppe Italia, prima di iniziare la nuova vita d’allenatore. La prima esperienza a Bologna, quella a Catania e Firenze, prima di sedere sulla panchina della Serbia. Forse il momento di massimo orgoglio per uno come lui, che amava la sua Patria e la sua Terra. Che di quei territori ha portato nel cuore lo spirito, il coraggio e la tenacia.
Nel 2013 il ritorno in Italia: la Sampdoria lo richiama nel momento più difficile, con un piede in serie B e Sinisa compie un vero capolavoro; porta a casa 36 punti in 26 partite e salva la squadra doriana. Così come da calciatore la Sampdoria è stato il suo trampolino di lancio per grandi palcoscenici, anche da tecnico l’avventura blucerchiata spalanca a Sinisa Mihajlovic le porte del grande calcio: il Milan (negli ultimi anni di gestione berlusconiana) lo chiama a Milano. Il tecnico serbo gestisce una situazione complicata, tra i reduci degli anni d’oro e tanti giovani: ha il merito di scovare e lanciare Donnarumma, garantendo ai rossoneri e al calcio italiano il portiere del futuro e porta la squadra in finale di Coppa Italia; ma non fa in tempo a giocarla, perchè viene sollevato dalla panchina a poche giornate dalla fine.
Sinisa non fa una piega: riparte dal Torino, poi lo Sporting Lisbona e infine il Bologna, dieci anni dopo la sua prima avventura rossoblù. Mihajlovic realizza il suo secondo miracolo sportivo: quando subentra a Pippo Inzaghi sono in pochi a scommettere sulle possibilità di salvezza di una squadra che sembra spenta. Ma il tecnico serbo si trasforma in guida spirituale per tutto l’ambiente e realizza un altro capolavoro. Porta a casa 30 punti in 17 partite e festeggia la salvezza allo stadio Olimpico dopo un pirotecnico 3-3 con la Lazio. La sua vecchia squadra, sempre amata. Al termine di quella sfida l’Olimpico festeggia la Coppa Italia vinta dai biancocelesti pochi giorni prima e la salvezza del vecchio guerriero. Sempre amato e rispettato.
Il 13 luglio del 2019 l’annuncio che sconvolge pubblico, tifosi e addetti ai lavori: Sinisa Mihajlovic non si nasconde; affronta la malattia con straordinaria lucidità e cattiveria. Quando torna in campo, dimagrito, senza capelli e affaticato, mostra al mondo i segni della sua lotta. Alterna le cure agli allenamenti. Lega il suo nome al gruppo rossoblù, alla squadra e all’intera città. Sconfigge il male una prima volta, festeggia la nascita della nipotina Violante, sembra sul punto di chiudere definitivamente la pagina più triste della sua vita. Poi, il 26 marzo 2022 un nuovo, drammatico annuncio: “Il male è tornato, mi devo fermare. Ho bisogno di cure”. E’ l’inizio della fine. Sinisa chiude la stagione, poi interrompe la sua avventura al Bologna. Si allontana dal mondo del calcio e lentamente si spegne.
Ma nei cuori di chi lo ha amato, difeso, rispettato e protetto, Sinisa Mihajlovic non morirà mai. Resterà per sempre il simbolo di un calcio fatto di valori che sembrano lontani anni luce da quelli attuali. Fede, rispetto, onestà e la voglia di non mollare mai. Ecco quello che ci lascerà Sinisa Mihajlovic. Da oggi il calcio e il mondo terreno perdono un esempio.