La sinistra si rituffa sul pericolo fascismo, utile mossa per coprire le magagne in casa. Silenzio assoluto, invece, sul documentario, presto in onda, su Lotta continua
il caso Sumahoro e le porcherie del Qatargate, e possono tornare a infierire come ai bei tempi sui rappresentanti del Male assoluto. In fondo, la cagnara sulla memoria del Movimento sociale serve soltanto a questo: a consentire alla sinistra di ribadire (prima di tutto a sé stessa) la propria superiorità morale. Come a dire: noi saremo pure corrotti, ma quelli restano fascisti, ergo siamo sempre i migliori. Tutto prosegue secondo copione: i parlamentari del Pd che si indignano e pretendono addirittura le dimissioni del presidente del Senato; i maniaci di Twitter che si consumano i polpastrelli a colpi di indignazione; i presunti intellettuali che si mobilitano, ripongono per un istante la fetta di pandoro e si mettono a sbraitare «vergogna!». Nel bel mezzo del putiferio, almeno per qualche ora i sacchetti pieni di contanti passano in secondo piano assieme ai favori concessi agli emiri. Chiaro, serve una bella faccia tosta per mettersi a cianciare di pericoli per la democrazia dopo l’euroscandalo, ma sappiamo bene che tra i progressisti il bronzo abbonda, e sembra pure impossibile da scalfire.
A dimostrarlo basta un piccolo ma non insignificante particolare. Fra qualche giorno – per la precisione il 13 gennaio – in prima serata su Rai 3 andrà in onda un documentario intitolato Lotta continua a dedicato al noto movimento comunista. Su queste pagine ne abbiamo già dato conto: ispirato al libro I ragazzi che volevano fare la rivoluzione di Aldo Cazzullo, il docufilm è stato prodotto da Verdiana Bixio per Publispei con Luce Cinecittà, in collaborazione con Rai Documentari e Rai Play. Insomma, si tratta di un bell’investimento pubblico che verrà adeguatamente esibito sulle emittenti pubbliche. Si tratta, giusto riconoscerlo, di un’opera tecnicamente ben fatta e molto suggestiva, ma che suscita qualche perplessità sul piano politico.
Lotta continua, celebrata dalla tv pubblica, malgrado violenze e omicidi
Il documentario fa udire giusto un paio di voci critiche, tra cui spicca quella di Giampiero Mughini, ma per il resto assomiglia a una celebrazione di Lotta continua, e offre ampio spazio agli ex militanti oggi famosi per rivendicare la bontà del proprio impegno negli anni di piombo. In particolare, colpisce l’atteggiamento dello scrittore Erri De Luca: non solo non rinnega nulla, ma appare anche piuttosto tollerante (per usare un eufemismo) riguardo all’utilizzo politico della violenza. Quale sia l’impostazione del film lo si evince con chiarezza dal comunicato ufficiale rintracciabile sul sito della Rai. «Sul finire degli anni Sessanta, mentre la rivoluzione anti sistema accomuna i giovani di tutto il mondo», si legge nel testo, «in Italia nasce un gruppo rivoluzionario particolarmente interessante per capacità di aggregazione, aggressività politica e personalità dei dirigenti». Già: l’aggettivo più indicato per descrivere Lotta continua è proprio «interessante». Sempre dal comunicato ufficiale apprendiamo anche che «la serie racconta le storie, i valori, i sentimenti e i ricordi di alcuni di quei ragazzi.
Dopo lo scioglimento del movimento, alcuni di loro sono diventati politici, giornalisti, manager. Sono quelli di cui conosciamo i visi e riconosciamo la voce. Altri hanno preferito continuare la lotta attraverso forme più violente e drammatiche, ma la maggior parte ha semplicemente abbandonato l’attività politica. Il capo di tutti, l’uomo che fondò e sciolse Lotta Continua, il ragazzo che conquistò gli intellettuali e sedusse una generazione, Adriano Sofri, ha scontato 15 anni di carcere per un omicidio per il quale si è sempre dichiarato innocente». Capito? Fu tutto molto affascinante, molto seducente. E pazienza se così, en passant, ci scappò qualche morto. E rieccoci al punto. Il Movimento sociale italiano si è regolarmente presentato alle elezioni per decenni, non è mai stato eversivo (come qualcuno ha provato a insinuare ieri), ha sempre rispettato la prassi democratica. Eppure da sinistra considerano «vergognoso» che qualcuno lo ricordi. In compenso, sulla tv di Stato può andare in onda una serie in cui si racconta che una certa simpatia un movimento extraparlamentare destinato a rimanere nella Storia per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi. Il nodo è sempre lo stesso: la superiorità morale. A sinistra si ritengono migliori anche e soprattutto quando sbagliano. E pervertono la Storia al punto da trasformare in oro persino i loro anni di piombo.