Un campione incredibile unico nella storia a vincere 3 mondiali, è stato il calcio, il calcio che si ascoltava e non si vedeva
Per molti è stato il più grande di sempre. Edson Arantes do Nascimento, da tutti conosciuto come Pelé, di certo è il giocatore che più di tutti, con le sue gesta e le sue prodezze, ha scritto pagine indelebili nella storia del gioco del calcio.
Fra partite ufficiali e gare amichevoli, la FIFA riconosce in tutto a Pelé 1281 goal realizzati, mito o realtà che sia sono un numero mostruoso, massimo cannoniere di sempre della Seleçao con 77 goal in 92 gare, tre Coppe del Mondo vinte nel 58, nel 62 e nel 1970.
Gli inizi nelle favelas come nelle favole
Nato il 23 ottobre del 1940 a Três Corações, nello Stato del Minas Gerais, Edson è chiamato affettuosamente ‘Dico’ da papà Dondinho, ex calciatore professionista che giocava come attaccante. Una sorella e un fratello più piccolo, una vita povera in una casa povera, ma tanta dignità da mostrare al mondo. Inizia a giocare per strada, come tutti i bambini brasiliani, e organizza ‘La squadra dei senza scarpe’ perché scelgono di giocare a piedi nudi e ben presto quella squadra diventa un’attrazione perché Dondihno sembra sceso da un altro pianeta. A 13 anni entrerà nelle giovanili della squadra locale, il Baur, che rimarrà per sempre la squadra dove trova quel nome che resterà un’icona per la storia del calcio: Pelè. A 17 anni approda al Santos e da li parte la storia del più forte calciatore di tutti i tempi.
Con il Santos farà la storia
Il Santos è la sua base, la sua squadra, sarà la sua città per sempre. Quella maglia bianca resterà per sempre un’icona del calcio mondiale prima dell’avvento dei blancos di Madrid. 10 campionati Paulista, 4 campionati brasile rio di Serie A, 5 Taca Brasil, 2 Coppe Libertadores, 2 Coppe intercontinentali, 1 Coppa dei Campioni Intercontinentali per 580 presenze con 568 gol. Numeri che spiegano soltanto la metà di quello che realmente ha significato Pelè nel calcio in quegli anni. Per chi ci ha giocato insieme, ma anche per chi ha avuto il privilegio di giocarci contro e magari fare una non proprio bella figura come tanti altri. “Pelé è un misto di Maradona, Messi, Di Stefano e Cruyff. Tutti e quattro riassunti in un unico giocatore, perché lui è il migliore che io abbia mai visto“, chiosò un giorno Luis Cesar Menotti, allenatore argentino, campione del mondo nel ’78, “Pelé è stato l’unico calciatore a superare i limiti della logica“ disse semplicemente in un’intervista Johan Cruyff. Un giorno il New York post scrisse: “Pelé è per il calcio quello che Shakespeare è per la lingua inglese: lo coniuga“, soltanto chi lo ha visto giocare al massimo della carriera può raccontare il perché fosse oltre ogni paragone.
Tre mondiali come nessun altro
In quegli anni non esistevano ancora i numeri sulle maglie, ma se vogliamo credere al destino potremmo dire che furono inventati per onorare la sua grandezza e creare il mito della 10. Fu infatti ai mondiali del 1958 in Svezia che furono introdotti per la prima volta in un campionato del Mondo e lui indossò l’allora maglia tutta bianca della selezione carioca (il verdeoro arriverà dopo il maracanazo contro l’Uruguay), con quel numero sulla schiena, proprio per il suo primo mondiale. E fu un trionfo, il primo di tre mondiali vinti come nessuno altro, e quella Coppa Rimet consegnata definitivamente al suo Brasile. Un mito, un genio, un campione assoluto. Di lui alcune perle, alcuni ricami, alcune giocate fatte in carriera sono ricordate per sempre e tramandate di padre in figlio, da nonno a nipote. Ha all’attivo più di mille gol eppure tra le sue azioni più esaltanti ce ne sono alcune in cui non ha segnato, soprattutto durante il Mondiale del ’70: il tentativo di pallonetto dal cerchio di centrocampo fuori di pochi centimetri, durante il match di apertura contro la Cecoslovacchia, la parata di Gordon Banks, sempre al primo turno, in quella che è stata definita la parata del secolo, la finta ai danni del portiere Ladislao Mazurkiewicz, durante la semifinale contro l’Uruguay.
“Solo Dio può dire perché ha scelto me”
Un giorno in un’intervista a France Football Pelè si racconto così: “Solo Dio può dire perché ha scelto me e non un altro. Vedete, io non so spiegarvi come mi muovevo in campo, come riuscivo a fare una certa finta o un certo dribbling. C’è voluto l’avvento del video perché potessi rivedermi e rendermi conto meglio. Come in tutto quello che faccio, c’era una buona parte di improvvisazione, di intuito, che sfuggiva alla razionalità”. Non c’era la tv e buona parte delle sue gesta sarebbe stata dimenticata per sempre se non fosse rimasta invece, per sempre, nel cuore dei brasiliani e di tutti quelli che lo hanno visto davvero volare sul prato verde con “la rotondetta” tra i piedi.