L’ultimo episodio dell’anno è stato l’accoltellamento di una turista israeliana di 24 anni alla stazione Termini, la sera di San Silvestro
Roma in versione Città del Messico a fine 2022: omicidi, sequestri di persona e violenze per le strade. L’ultimo episodio dell’anno è stato l’accoltellamento di una turista israeliana di 24 anni alla stazione Termini, la sera di San Silvestro. Ma è da metà novembre che le prime pagine dei giornali sono tornate a colorarsi rosso sangue con gli articoli di ‘nera’ che tornano prepotentemente nelle discussioni al bar.
Tutto inizia il 17 novembre scorso, poco più di un mese fa. Giandavide De Pau – conosciuto per essere l’autista personale di Michele Senese e già finito nelle carte sul ‘Mondo di Mezzo’ di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati – uccide tre prostitute in un’ora. A perdere la vita due cittadine cinesi: Li Yan Rong, 55 anni; Yang Yun Xia, 45 anni e una cittadina colombiana: Marta Castano Torres, 65 anni. Il quartiere Prati – dove le tre donne abitavano – vive due giorni di apprensione. La borghesia romana è scossa nel profondo. De Pau, dopo aver ucciso le tre donne, fugge via con i vestiti ancora sporchi di sangue. Viene arrestato dalla polizia sabato mattina all’alba. Sono passate meno di 48 ore, ma sembrano settimane. Addosso ha ancora gli stessi abiti. Emergono i particolari: le pugnalate crudeli durante i rapporti sessuali.
Roma tra Città del Messico e gli anni ’70: violenza e omicidi
Le tre ‘S’ – sesso, sangue e soldi – fanno da padrone sui giornali e nella testa della gente, rapita dalla storia. Viene interrogato dai magistrati: dice di non ricordare nulla. Poi solo una parte: era dalle cinesi, ma non a casa della colombiana. Ad incastrarlo saranno le telecamere – l’uomo è immortalato sia in via Riboty, casa delle asiatiche, sia in via Durazzo, dove abitava Marta – e un video sul cellulare, nel quale l’uomo conserva i primk due omicidi, quelli di Li e Yang. Sembrava già tanto per una città che, anche complice la Pandemia da Covid-19, aveva forse rimosso episodi del genere.
Ma – a distanza di 25 giorni dal triplice delitto – un nuovo fatto di sangue sconvolge la Capitale. Quattro donne vengono uccise nel gazebo di un bar a Fidene. Tre persone restano ferite. Una carneficina. L’autore viene bloccato sul posto dall’intervento dei carabinieri. Si tratta di Claudio Campiti, un 57enne. Poco prima aveva portato via una pistola dal poligono a Tor di Quinto dove si allenava da tempo e l’aveva usata nel modo peggiore compiendo una strage. Gli omicidi eseguiti nel corso di una riunione di condominio tra appartenenti al Consorzio Valleverde in provincia di Rieti.
La gente è preoccupata: “Poteva capitare anche a me. Sai quante volte ho litigato con il vicino?“, è il commento al bar la mattina seguente. Una storia che tocca, perché – inconsciamente – tutti ci sentiamo possibili vittime. Davanti al gip ammetterà il risentimento nei confronti dei consorziati. Ma prima di diventare il “killer di Fidene“, Campiti, oggi disoccupato, era stato una persona con una vita tranquilla: ex-assicuratore, una ex-moglie che lavorava per le ambasciate, i figli alla scuola francese Chateaubriandt. Una vita borghese e agiata. Poi la mazzata della perdita di un figlio di 14 anni, deceduto nel 2012 per un incidente con lo slittino mentre era in vacanza in Val Pusteria. È probabilmente da quel lutto che per Campiti inizia la discesa agli inferi, conclusa con i terribili omicidi.
Una discesa agli inferi, lenta ma inesorabile: anche un rapimento
Sembrava finita, ma nella notte tra il 22 e il 23 dicembre, a poco più di 24 ore dalla vigilia di Natale, un altro omicidio scuote la Capitale: un uomo – Nazzareno Paolo Teti, 52 anni, originario di Vibo Valentia – viene ucciso con una coltellata al collo in strada a via della Borghesiana, alla periferia est di Roma. In poco i poliziotti della Squadra Mobile arrestano l’aggressore: un 47enne albanese fermato grazie all’incrocio tra le immagini delle di telecamere di sorveglianza della zona e le testimonianze acquisite dagli inquirenti. Il movente del delitto, in questo caso, è di natura sentimentale: la gelosia dell’uomo per la relazione tra la moglie e la vittima.
Nella stessa sera, ma tra Tor di Quinto e Ponte Milvio, a Roma nord, dove il ‘mondo di sotto’ – ragazzi della periferia che tentano il rilancio sociale e i soldi facili spacciando droga – e il ‘mondo di sopra’ – rampolli di famiglie benestanti – si incontrano, un ragazzo viene rapito fuori da un ristorante di Sushi da un ‘commando’. Lo stile è quello messicano: 6 persone prendono il ragazzo, lo caricano in auto, e sfrecciano via in direzione della Tangenziale. Si tratta di un 20enne: Danilo Valeri, figlio di Maurizio, anni 46, gambizzato a maggio scorso nel corso di un regolamento di conti maturato nell’ambito del narcotraffico e del racket delle occupazioni delle case popolari.
Subito si pensa a una vendetta nei confronti del papà. La polizia indaga e la Capitale resta con il fiato sospeso per ore. Fino a sera quando, una nota della Questura, spiega che il giovane sta bene ed è stato ritrovato. A portarlo dalla polizia, poche ore prima, la madre. Indagini ancora in corso per capire chi, come e perché lo ha rapito.