Si cerca in tutti i modio di sgonfiare uno scandalo che fa acqua da più parti. Basti pensare che Borrell è andato in Marocco uno dei paesi che dava mazzette
La parola d’ordine adesso sembra: minimizzare. «Non ci sono prove», dice il portavoce di EEAS per spiegare perché l’Alto rappresentante per la politica estera Joseph Borrell (ovvero il ministro degli esteri della Ue) andrà tranquillamente in visita oggi e domani in Marocco. Cioè in uno dei paesi che hanno foraggiato per anni l’attività di lobby occulta di Fight Impunity, la ong dell’ex eurodeputato del Pd Antonio Panzeri, in carcere dall’8 dicembre.
Mentre sui giornali di mezzo mondo si raccontano dei sacchi di soldi trovati a casa di Panzeri e degli altri arrestati, dei contatti con i servizi segreti del Marocco e di come Panzeri addomesticò e teleguidò l’incontro del 13 novembre scorso tra una commissione del Parlamento europeo e il ministro del lavoro marocchino, il portavoce di EEAS Peter Stano ricorda che «a questo punto ci sono accuse e non prove né conclusioni di indagini. Nessuno ha ancora affermato dal punto di vista giuridico che il Marocco sia un Paese colpevole e che dovrebbe essere evitato negli incontri internazionali».
Una grande libertà di movimento di cui godeva Panzeri
La cautela del portavoce Stano spiega bene l’imbarazzo in cui il Qatargate ha precipitato il Parlamento comunitario. L’allargamento a macchia d’olio dello scandalo non fa che rendere più evidenti l’inefficienza dei sistemi di controllo interno: a partire dalla libertà di movimento che veniva garantita a Panzeri nei corridoi e nelle iniziative del Parlamento nonostante non coprisse più alcuna carica e la sua ong non risultasse nel Registro della trasparenza. Basti pensare che il 20 luglio 2020 il gruppo degli S&D per presentare il libro dedicato al ricercatore italiano Giulio Regeni, assassinato in Egitto, si affida proprio a Panzeri, che è il relatore principale.
A presiedere l’incontro la belga Marie Arena, il cui nome ora ricorre insistentemente nelle cronache sul Qatargate: la sua assistente personale è stata perquisita dagli inquirenti, avendo lavorato a lungo con la ong di Panzeri; durante l’incontro del 13 novembre con i marocchini, la Arena fa un intervento per il quale subito dopo Panzeri la ringrazia. Secondo un articolo del quotidiano fiammingo De Standaard, documenti trapelati nella versione marocchina del caso Wikileaks dimostrano che già nel 2014, quando era ancora deputato, Panzeri era considerato da Rabat «un alleato per combattere il crescente attivismo dei nostri nemici in Europa».