Mattia Ferrari è uno degli influencer più importanti in ambito cinematografico, con decine di migliaia di follower sui vari social. Ecco l’intervista in esclusiva ai microfoni di Notizie.com.
E’ inutile negarlo, le nuove generazione di cinefili, dopo aver visto un film al cinema, tendenzialmente preferiscono cercare opinioni sul web, piuttosto che comprare un giornale per leggere l’ultima recensione di Paolo Mereghetti (stimato critico cinematografico della carta stampata) e, nella gran parte dei casi, il primo risultato ad apparire sarà un video di Mattia Ferrari, in arte Victorlaszlo88.
Il suo canale Youtube, aperto nel lontanissimo 11 Agosto 2009, conta circa 300 mila iscritti e le sue videorecensioni sono costantemente le più seguite sul territorio nazionale. Partito dalla propria cameretta, Mattia si è guadagnato una posizione di spicco nel settore, grazie alla sorprendente frequenza dei contenuti e ad una passione travolgente, che hanno fatto affezionare decine di migliaia di fan. Alla luce del grande cambiamento che sta investendo la critica cinematografica negli ultimi vent’anni, abbiamo ritenuto a dir poco interessante conoscere le opinioni di uno degli esponenti più rilevanti di tale metamorfosi culturale.
La prima domanda è la stessa che feci a Davide Marra (famoso streamer di Twitch) qualche mese fa, perché credo che la vostra generazione di influencer cinematografici sia affascinante da questo punto di vista. In che termini definiresti la critica cinematografica? E di conseguenza, ti definisci un critico?
E’ un argomento molto interessante, perché, ad esempio, quando mi dicono che io sono un critico, io dico sempre di no. Il critico è innanzitutto una persona che ha eseguito degli studi specifici e che ha una qualifica da giornalista. Io non ho il tesserino. A me non piace quando mi definiscono un critico, perché secondo me non è rispettoso nei confronti di chi ha fatto questo percorso di studi e si è fatto un mazzo tanto. Io ho studiato lettere moderne, non mi sono laureato, però avevo improntato questo indirizzo in modo da avere in comune parecchi esami con scienze dei beni culturali. Quindi io ho effettivamente seguito numerosi corsi di cinema. Ho dato esami di cinema, però era lettere moderne e non ho studiato in una facoltà che fosse specifica per il cinema. Non mi sono mai laureato, quindi non ho una qualifica. Per cui quello che faccio io è dare la mia opinione, come lo potrebbe fare chiunque. Se bastasse dare le proprie opinioni per essere definito critico, saremo tutti i critici, giusto? Io sono un divulgatore, un’opinionista, ma non un critico. Poi di fatto faccio quello che fa un critico, quindi la differenza è proprio nella preparazione specifica e sul fatto di avere delle qualifiche che il critico si è sudato: può essere la tessera da pubblicista, può essere il tesserino da giornalista, ma una qualifica ci deve essere. Insomma c’è un percorso che secondo me un critico fa e che io non ho fatto. Nei fatti le due cose sono molto simili, ma cambia proprio il background.
Secondo te è negativo che la sala sia diventata sostenibile soltanto per le grandi produzioni?
Partiamo dal fatto che un film è un film. A me spiace quando sento dire ‘Se lo vedi in televisione non è un film’. Io ho qualche anno più di te però, essendo nato nell’88, sono nato otto anni dopo l’uscita di Shining (1980) in sala. Quindi io l’ho visto in videocassetta. Quindi significa che finché io non ho visto Shining al cinema non l’ho visto? Allora Ladri di Biciclette, Psycho e altri non li ha visti nessuno? E’ ovvio che il modo migliore di vedere un film è al cinema e non sono per niente d’accordo con chi dice che vedere un film su un 65 pollici sia uguale a vederlo in sala. Io ho un 65 pollici ed effettivamente ha cambiato il mio modo di vedere film e serie tv, ma quando esce un film e ho la possibilità di andarlo a vedere in sala, mi metto in macchina al freddo e al gelo e vado al cinema. Persino nel caso del recente Glass Onion, che è uscito per una settimana al cinema e poi lo hanno messo gratis su Netflix.
E’ ovvio che è più scomodo, ma non c’è paragone. Nonostante ciò non sono d’accordo con chi dice che lo streaming è la morte del cinema. Il vero problema è che i box-office vengono riempiti dai film evento. Per esempio quest’anno gli unici film che hanno davvero riempito le sale sono stati Spiderman No Way Home, Top Gun Maverick e Avatar: La via dell’acqua. Il problema sono i film di mezzo o anche semplicemente i Blockbuster che non sono dei grandi eventi. Lo streaming è diventato la casa dei film d’autore. Un esempio lampante potrebbe essere The Last Duel di Ridley Scott, un film fantastico, incredibile, che in sala ha floppato malamente, ma quando è uscito su Disney Plus è stato visto da tutti. E’ triste? Si è tristissimo, ma da un certo punto di vista permette a film che non avrebbero avuto comunque grande diffusione, di esser visti da tutte quelle persone che avendolo gratis nel catalogo lo vedono.
Indirettamente hai già risposto alla prossima domanda, nella quale ti avrei chiesto se il cinema d’autore delle nuove leve, che attualmente passa da registi come Noah Baumbach o Robert Eggers, potrà mai ritrovare spazio in sala.
Hai fatto un nome che secondo me è emblematico, Noah Baumbach. Quanti sarebbero andati a vedere il suo Storia di un matrimonio se fosse uscito in sala? Pochissimi. Dato che ne senti parlare ed è su Netflix gratis te lo vedi. Guarda anche il suo nuovo Rumore Bianco, quanti sarebbero andati in sala a vederlo? Pochi. Ora su Netflix sta avendo il suo successo. Paradossalmente i film di grande successo permettono ai film d’autore di rimanere ancora un pò in sala, perché un esercente, grazie agli enormi guadagni che registra con questi film evento, si può permettere di passare in sala film di nicchia senza andare alla ricerca del grande incasso.
Parlando appunto del cinema puramente concepito per l’intrattenimento, qual è il confine tra arte e intrattenimento? Un esempio emblematico potrebbe essere il Marvel Cinematic Universe, poiché contiene al suo interno sia film considerati arte che prodotti di puro intrattenimento.
Guarda io ti faccio un’altro esempio, The Batman di Matt Reeves. Reeves è un regista di blockbuster, ma The Batman penso sia la perfetta fusione tra arte e intrattenimento. Un film fatto con amore e con grande passione. Sembra un film di David Fincher con Batman protagonista. Quello secondo me è un esempio recente di film che è sia arte che intrattenimento. Non un film perfetto, ha sicuramente delle ingenuità nella sceneggiatura, però ha delle immagini assurde. Ti cito un altro autore che fa Blockbuster, Christopher Nolan. Interstellar è intrattenimento, ma ha anche a che fare con l’arte.
Non trovo che sia un capolavoro come dicono tanti però è il perfetto esempio. Secondo me il confine sta tutto in ciò che vuoi raccontare, cioè quando l’autore si spende all’interno del film siamo sempre nella nella sfera dell’arte. Che poi in realtà a me dispiace quando si pensa che un buon prodotto di intrattenimento come Avengers Infinity War non sia cinema…certo che è cinema, anzi, è la funzione primigenia del cinema. Secondo me non è neanche giusto dire che questi film non abbiano una valenza artistica, semplicemente non sono autoriali. Un buon film di intrattenimento rispetta il concetto di arte. Bisogna soltanto capire quanto ci sia dell’autore all’interno del film.
Come vedi il futuro del cinema italiano? Pensi che possa recuperare una propria identità o continuerà a inseguire goffamente il cinema statunitense?
Guarda secondo me rispetto a dieci anni fa già siamo messi molto meglio. Basta vedere Lo chiamavano Jeeg Robot, Perfetti sconosciuti, Freaks Out o Veloce come il vento. C’è voglia di sperimentare, di fare qualcosa di diverso. Per quanto riguarda il cinema statunitense, noi anche negli anni 70 e 80 lo rincorrevamo e adesso stiamo iniziando a creare degli ibridi, come Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, in cui mode statunitensi si univano ad una spiccata italianità. Ci sono due film di due autori bravissimi sono i fratelli D’Innocenzo, ovvero Favolacce e America Latina che sono film veramente belli che mantengono molto un’impronta italiana pur dando qualcosa di diverso.
Non dico che il futuro del cinema italiano sia roseo, ma neanche così cupo come si potrebbe pensare. Vedo tanta voglia anche da parte dei produttori di sperimentare. Poi rimarremo sempre con i Box Office a premiare la commediola del ca**o, però già il fatto che il pubblico abbia smesso di premiare al botteghino i cinepanettoni per me è stato un segnale positivo culturalmente.
Andiamo più sul personale, cosa sarebbe successo alla tua vita senza i social?
Allora io ho studiato Lettere moderne però mi ero bloccato, quindi all’epoca stavo per mollare per andare a lavorare. Io sono dell’idea che quando bisogna lavorare uno fa qualunque cosa e stavo per andare al McDonald, ok? Non sono più andato da McDonald perché mi ha chiamato una catena di cinema per fare per l’appunto i video per il loro canale YouTube. Mi pagavano quindi ho detto ‘Va bene allora posso viverci’. Se non ci fosse stato YouTube penso che sarei finito a fare una cosa che a me sarebbe sempre piaciuta tanto parlando dei lavori normali, ovvero lavorare in una libreria, o anche aprirne una, magari una cosa un po’ particolare. Un po’ tipo un locale/libreria. Mi ha sempre affascinato lavorare in mezzo ai libri, essendo un grande lettore.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a molti casi di influencer, soprattutto streamer di Twitch, che hanno cominciato a soffrire di ansia e depressione. Come vedi te dall’interno questa situazione?
Lo capisco benissimo. Quando sento colleghi che dicono ‘non ce la facevo più, stavo male’ lo capisco perfettamente… è alienante stare in streaming tutte quelle ore, con gente di ogni tipo, gente che ti fa i complimenti, gente che ti vuole bene o gente che arriva solo per affossarti. Odio e amore che si intrecciano. E devi essere sempre a mille, devi sempre trovare modi per creare nuovi format e hai sempre paura di essere superato, di diventare obsoleto dall’oggi al domani. E’ psicologicamente pesante. Io lo so che tante persone sono convinte che noi influencer non facciamo nulla… magari, guarda non sai quanto mi piacerebbe. Io stesso ho sfiorato l’esaurimento nervoso più di una volta e vi posso garantire che questo mestiere è pesante. E’ bellissimo, io lo farò finché avrò respiro, ma non è facile come può sembrare.
Tra l’altro siamo in un’epoca in cui arrivato un social molto pericoloso. Tik Tok ha dato il permesso a tante persone di diventare influencer dal niente, il che secondo me è anche pericoloso, perché sono persone che non sanno come funziona e spesso creano casini e non sanno gestire un potere delicato. E in un momento in cui c’è un social come tik tok, la paura di divenire obsoleto è alta. Diciamo che è un mestiere non adatto a chi è portato alla depressione, a causa delle grandi ansie che provoca. Bisogna anche cominciare a comprendere che non puoi stare diciotto ore in live al giorno.
Il Cerbero Podcast (nota trasmissione in onda su Twitch) recentemente ha proprio evidenziato l’importanza per un’influencer di avere altro nella propria vita oltre ai social.
Esattamente, bravo. Guarda ti dico che io da un paio di anni sono in terapia, non soltanto per quello. Ma devo dire che la terapia mi ha fatto capire cosa conta davvero. Quindi magari una sera preferivo stare con la mia compagna o uscire rispetto a fare un video. Ti devi rendere conto che non puoi passare la vita davanti ad una telecamera. Devi trovare altro. Inoltre è utile prepararsi un’exit strategy, grazie alla quale, anche se dovesse finire tutto, sei cosciente di saper fare altro e io grazie al cielo ho un’alternativa.