Dalla Tangentopoli veneta alle coop rosse fino all’indagine sul Mose, l’utilizzo massiccio delle intercettazioni su richiesta dell’ex toga
Predicava male, ma razzolava bene. Eccome se razzolava. Perché di intercettazioni, microspie, ascolti telefonici e ambientali le sue inchieste sono piene. Il ministro Carlo Nordio – una vita spesa alla procura di Venezia come pm prima, procuratore aggiunto poi (2009-2016) e vicaro infine (2013-2016) – in pubblico ha sempre avuto qualcosa da ridire su questo cruciale strumento investigativo. «La disciplina delle intercettazioni è fallimentare», «troppe sui giornali», «diritto alla riservatezza demolito», diceva allora e dice tutt’ oggi, dimenticandosi che la riforma Orlando nel 2017 ne ha ulteriormente regolamentato usi e pubblicazione. Peccato però che senza di esse, l’indagine sulla Tangentopoli veneta con cui si è fatto conoscere, portando a processo gli ex ministri De Michelis e Bernini, non avrebbe visto la luce. Nemmeno quella sulle cooperative rosse, e forse sarebbe stato meglio visto l’esito non proprio felice. Né, ancora, le ruberie di denaro pubblico attorno al Mose sarebbero state scoperte.
Sono tre dei tanti fascicoli che portano la firma di Carlo Nordio, pubblico ministero della Repubblica. Partiamo dall’ultimo: lo scandalo del Consorzo Venezia Nuova e del Sistema messo in piedi da Giovanni Mazzacurati. Un’inchiesta monstre condotta dai tre pm Ancillotto, Buccini e Tonini, e di cui l’attuale ministro della Giustizia è stato coordinatore in qualità di procuratore aggiunto. Tra il 2012 e il 2014 sono state disposte più di trecentomila ore di intercettazioni: il telefono di alcuni degli indagati è rimasto sotto controllo per due anni. I magistrati lo ritenevano necessario ai fini del loro lavoro e il Giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza è stato dello stesso avviso.
«Le intercettazioni telefoniche e ambientali documentano in modo incontrovertibile il totale asservimento di esponenti del potere politico aventi incarichi istituzionali, nonché di funzionari della pubblica amministrazione, agli interessi del gruppo economico-imprenditoriale », scriveva nell’ordinanza che nel 2014 ha portato all’arresto di 35 indagati. Erano coinvolti due personaggi ben noti: l’allora governatore veneto Giancarlo Galan e l’ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Il primo ha patteggiato la pena, il secondo è stato assolto per alcuni dei fatti contestati, mentre per altri è intervenuta la prescrizione. «Il mio orgoglio maggiore », fu il commento di Nordio, «è che su trecentomila e passa ore di intercettazioni telefoniche e ambientali non un solo pettegolezzo è finito sulla stampa». C’è da scommettere che in tanti non siano della stessa opinione: nelle carte, più di 160 mila fogli, sono rimasti stralci di conversazioni private con parenti e amici che non sembrano poi così attinenti all’oggetto dell’inchiesta.
Senza l’ascolto dei telefoni non ci sarebbe stata nemmeno la Tangentopoli veneta, il filone su corruzione e finanziamento illecito aperto nei primissimi anni Novanta dal pm Ivano Nelson Salvarani e preso in eredità da Nordio. «Era tutto basato sulle intercettazioni», ricorda l’ex senatore Felice Casson, che a quel t empo ricopriva il ruolo di Gip. «Furono decisive per l’esito del processo, di cui Nordio firmò le richieste di rinvio a giudizio». Il 6 luglio 1992 fu arrestato il presidente della Regione Franco Cremonese. Finirono alla sbarra i ministri Gianni De Michelis, socialista, e Carlo Bernini, democristiano. Giorgio Casadei, segretario particolare di De Michelis, chiese il patteggiamento, motivandolo anche con la paura di essere condannato al pagamento delle spese processuali «il cui ammontare già ora si presenta ingentissimo dato l’altissimo costo delle sole intercettazioni telefoniche ed ambientali e della loro trascrizione». Per dire quante ore di telefonate erano finite in quelle carte. Per Nordio fu un successo