Sono i dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro a fotografare la rivoluzione post pandemia nel mondo del lavoro
Che siano motivate da necessità personali o familiari, dalla voglia di crescere nel mondo del lavoro, dalla voglia di rinunciare ad uno stipendio reputato troppo basso o da condizioni e mansioni non affini alle proprie capacità, le 1,6 milioni di dimissioni rassegnate nei primi 9 mesi del 2022 sono un record che segna chiaramente la nuova strada intrapresa dal mercato del lavoro nell’era post pandemia.
Un dato che segue il trend mondiale, tanto che oltreoceano hanno già pensato a coniare un termine – Great resignation – che possa rappresentare il fenomeno. I numeri sono in continua crescita dal dopo lockdown e segnano una decisa impennata anche rispetto a quelli del 2021. Crescono notevolmente anche i licenziamenti, questi anche grazie alla fine del blocco dei licenziamenti deciso per fronteggiare la crisi pandemica. Gli esperti puntano il dito contro il lavoro agile, la cui scoperta porta sempre più spesso a preferire chi offre maggiore possibilità di lavorare da casa.
La fotografia del fenomeno arriva dagli ultimi dati trimestrali sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, che riportano i numeri dei primi 9 mesi del 2022 e riguardano il numero totale delle dimissioni e non il numero dei lavoratori coinvolti. 1,6 milioni di dimissioni, una crescita del 22% rispetto al 2021, quando nello stesso periodo il dato si era attestato sull’1,3 milioni di dimissioni. A spingere al cambiamento proprio il blocco pandemico e l’attuale ripresa occupazionale che garantisce più mobilità a chi, in maggioranza gli uomini, decide di lasciare il posto di lavoro.
Le dimissioni si posizionano così al secondo posto della speciale classifica delle cause di interruzione del rapporto di lavoro, precedute solamente dai contratti a tempo determinato. In crescita, sempre secondo i dati trimestrali del ministero del Lavoro, anche il numero dei licenziamenti, +47% rispetto al 2021. La crescita qui è però anche dettata dalla fine al blocco dei licenziamenti deciso per fronteggiare la crisi causata dallo scoppio della pandemia. 557 mila le interruzioni al rapporto di lavoro decise dal datore rispetto alle 379 mila dei primi nove mesi dell’anno precedente, dove era in vigore il blocco.
Seppur spinto da motivazioni e contingenze diverse, anche l’incremento dei licenziamenti contribuisce così a tratteggiare un quadro del mondo del lavoro attuale dove la mobilità sta assumendo un ruolo sempre più importante. Il dato delle dimissioni però consente di guardare questa situazione con meno preoccupazione considerato come siano per primi i lavoratori a ricercare il cambiamento nell’attuale mondo del lavoro.