La pandemia da Covid ha certamente prodotto degli effetti che ancora non conosciamo, come quelli sulla nostra memoria.
E’ passato molto tempo dall’inizio del giorno che nessuno si sarebbe mai aspettato di vivere, ovvero quello legato alla pandemia Covid che purtroppo, seppur quasi debellata, ancora tutto il mondo si porta dietro. Ebbene, anche oggi a distanza di anni, i suoi effetti potrebbero avere delle ripercussioni sulla nostra vita e sulla nostra salute.
Ad avere rivelato questo particolare sono stati i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano che hanno appunto parlato di alterazioni del metabolismo cerebrale e possibile accumulo di molecole tossiche, proprio queste vanno ad intaccare la memoria anche a distanza di un anno.
Per arrivare a questa conclusione i ricercatori, infatti, hanno raccolto le deposizioni di un gruppo selezionato di pazienti che a distanza di un anno dalla malattia, presentavano ancora disturbi come stanchezza mentale e non solo.
Covid, dopo un anno gli effetti si sentono ancora
Proprio cosi, pare proprio che per un gruppo di pazienti che in passato sono risultati positivi al Covid, i problemi non siano ancora finiti: anche oggi, a distanza di anni, si trovano ad avere una forte stanchezza mentale che non sanno come risolvere.
Questa ricerca coordinata dal neurologo Alberto Priori, docente della Statale di Milano e frutto di una collaborazione tra il Centro ‘Aldo Ravelli’ dell’Università degli Studi di Milano, l’ASST Santi Paolo e Carlo e l’IRCCS Auxologico, è stata condotta da un team di neurologi, psicologi e medici nucleari e appena pubblicata su Journal of Neurology.
Dallo studio è venuto fuori che una parte dei pazienti, presentavano disturbi cognitivi oggettivati da test neuropsicologici ma PET normali mentre tre pazienti avevano disturbi cognitivi con test neuropsicologici e PET alterati. E non è tutto, alcuni di questi pazienti hanno continuato ad avere delle forti alterazioni cognitive e un ridotto funzionamento delle aree temporali, quindi di una parte del cervello.
“L’amiloide è una proteina che quando si accumula nei neuroni ne determina l’invecchiamento precoce e la degenerazione e che è implicata nella malattia di Alzheimer. Ebbene nel paziente esaminato la PET ha rilevato un abnorme accumulo di amiloide nel cervello e particolarmente nei lobi frontali e nella corteccia cingolata (legate a funzioni cognitive complesse e alle emozioni)”, sono queste le parole di Luca Tagliabue, direttore della divisione di Medicina Nucleare e Radiodiagnostica dell’ASST-Santi Paolo e Carlo.
Insomma per concludere, dai risultati dello studio è venuto fuori qualcosa di davvero incredibile, a distanza di un anno dalla malattia, un certo numero di pazienti può ancora presentare delle alterazioni cognitive che in parte può dipendere da cambiamenti psichici e dall’altra anche ad alterazioni del metabolismo celebrare. In minima parte alla presenza di molecole tossiche nei neuroni.