In esclusiva a Notizie.com le parole di Egea Haffner, la “bambina con la valigia”, simbolo dell’esodo striano. “Ecco cosa c’era dietro quella foto”
L’immagine di una bambina con il viso imbronciato, che tiene in mano una borsa, sulla quale è ben evidenziata la scritta “Esule giuliana”, è diventata il simbolo dell’esodo striano. Quella bimba, il 6 luglio 1946, giorno in cui venne scattata quella foto, aveva appena cinque anni ed era inconsapevole del suo destino. Oggi ha 81 anni e ricorda perfettamente tutto ciò che quella foto rappresenta. Egea Haffner fu costretta ad abbandonare Pola con la madre. Mai avrebbe immaginato di diventare un simbolo. “Sono diventata virale”, scherza in esclusiva a Notizie.com.
Cosa pensa ogni volta che vede quell’immagine?
“Che ha fatto il giro del mondo, ma io non ho nessun merito: è stato il fotografo, mio zio, che ha creato tutto. Con il cartello esule giuliana e il numero 30.001”.
Cosa rappresentava quel numero?
“Quel periodo Pola contava 30.000 abitanti, e quel cartello fu una piccola messa in scena per far capire quello che stava succedendo. Zio già immaginava che ci avrebbero mandato via tutti”.
Come ha ritrovato quella foto? E come ha fatto a trasformarsi in un simbolo?
“Nel 1997 venne fatta una mostra a Rovereto dedicata a ciò che era successo. Gli organizzatori andarono nelle case degli esuli o dei parenti di chi all’epoca venne mandato via, nel tentativo di cercare qualcosa: documenti, foto, i quaderni di scuola: tutto ciò che poteva permetterci di ricordare qualcosa di quegli anni. Quando vennero a casa mia io gli diedi i documenti di mio padre e poi insieme aprimmo un baule, dove uscì fuori questa foto. Piacque così tanto, che diventò un simbolo”.
Cosa ricorda di quel giorno?
“Stavamo partendo per la Sardegna, io e mia madre per raggiungere mia zia. Per lasciare un ricordo alla nonna, che rimaneva a Pola con gli zii, abbiamo deciso di fare una foto ricordo. Molti decisero di farsi fotografare davanti all’Arena di Pola, noi davanti casa. Se vedete bene, io in quella foto ho la faccia imbronciata. Triste. Quando il direttore del Museo storico della Guerra ha scoperto la foto e ne ha fatto un manifesto, ha detto: ‘Si vede che questa bambina aveva paura di quello che stava accadendo’. In realtà in quel momento ero solo scocciata di aver fatto tante foto. Poi dopo ho capito quello che sarebbe successo”.
Cosa ha capito?
“Che avremmo lasciato la nostra casa, la nostra vita. Io e mia madre, perchè mio padre già non c’era più. Un giorno vennero dei soldati di Tito e bussarono alla porta. Dissero a mia madre che papà doveva seguirli per un controllo, ma non tornò mai più”.
Oggi cosa fa Egea Haffner?
Sto girando per le scuole, mi chiedono di raccontare quello che è successo. Finalmente siamo riusciti a fare in modo che di questa vicenda se ne parli. Senza mettere in mezzo la politica. E vedo che i ragazzi capiscono e apprezzano. E’ importante anche il lavoro delle insegnanti. Che svolgono un ruolo fondamentale”.
Ha scritto anche un libro, vero?
“Si. Dal titolo “La bambina con la valigia”, con una brava scrittrice per ragazzi: insieme andiamo nelle scuole, a fare delle conferenze. Grazie a lei è uscito fuori un testo leggero, adatto anche ai bambini, ma dove ci sono cose importanti. Ne hanno fatto uno speciale su Sky durante la pandemia ed ora sta per diventare un libro di testo per le scuole”.
La bambina con la valigia, che guardava il mondo con occhi terrorizzati, ora può finalmente trovare un pò di serenità. La sua vicenda non è più accantonata in un angolo, ma è diventata (finalmente), di pubblico dominio.