Juventus e Lazio pesantemente penalizzate in Europa League e in Conference da Pinheiro e Pawson: “I nostri rimangono i migliori, c’è un motivo ben preciso…”
Critiche feroci dopo le partite di Serie A. Poi, quando si gioca in Europa, ci si accorge forse che è meglio non criticare troppo la scuola italiana degli arbitri. All’estero spesso si vede di peggio, decisamente di peggio. Ne sa qualcosa la Juventus, frenata dalle sue colpe (in parte), dalla sfortuna e anche da alcune decisioni di Pinheiro (soprattutto il rigore negato nel finale). Internazionale da 7 anni, il direttore di gara di Juve-Nantes, eppure ieri era alla prima sfida a eliminazione diretta. Un po’ poco e si è capito il perché.
Alla Lazio è andata meglio solo per il risultato (1-0 al Cluj): Patric espulso dopo soltanto un quarto d’ora da Pawson. Krasniqi, saltato lo spagnolo, aveva spostato la palla lateralmente: non sembrava proprio una chiara occasione da gol. Tiziano Pieri, ex arbitro e ora ospite fisso nelle trasmissioni Rai, ha parlato in esclusiva a Notizie.com di classi arbitrali. Perché in fondo, anche qui, c’è classe e classe…
Sig. Pieri, ieri disastri su disastri in Europa. Che i tanto criticati italiani, alla fine, non siano così male?
“A livello generale gli arbitri italiani sono sempre stati etichettati come i migliori al mondo. Poi io ho conosciuto anche arbitri stranieri molto bravi. L’inglese Webb era un top-referee, anche in Italia sarebbe stato uno di spessore”.
Dove sta la differenza?
“In Italia ci sono scuola, tradizione e struttura. Esistono sezioni in tutte le città principali e pure nelle province. Guardiamo la Liguria: c’è una sezione a Genova, poi a Chiavari, La Spezia, Savona. In tutta la nazione ci sono tutor che accompagnano gli arbitri fin dall’inizio. Il percorso porta a creare arbitri di alto livello. Le competenza vengono trasferite”.
Come mai, al di là delle polemiche sempre esistite, l’Italia ha sempre presentato arbitri di livello?
“Ora il discorso è un po’ cambiato perché si è persa la figura del talent scout, cioè di chi vedeva gli arbitri e intuiva le loro potenzialità. Prima ce n’erano due fortissimi, uno era mio padre, l’altro Maurizio Mattei. Vedevano i giovani in fase embrionale e li portavano a un livello altissimo”.
Pieri sugli arbitri: “Non ci sono più i talent scout”
Insomma, come si fa per i calciatori…
“Esatto, la stessa cosa. Quelli bravi capiscono prima le capacità di un arbitro. Ora è semplice vedere Kvaratskhelia, bravo Giuntoli a notarlo prima degli altri e a crederci. La stessa cosa vale per gli arbitri. Faccio un esempio significativo: fu mio padre a credere in Rocchi, l’attuale designatore. Rischiava di essere mandato via nel campionato interregionale. Andò a osservarlo e gli disse: ‘Tu saresti fuori dai giochi, non passeresti, ma ti ho visto e sei molto bravo. Ti metto nella condizione di recuperare dandoti partite importanti. Poi naturalmente sta a te dimostrare le tue capacità’. Direi che aveva visto lungo”.
Il gap tra arbitri stranieri e italiani si è ridotto negli ultimi anni o è aumentato?
“In Italia c’è un problema, al primo errore un arbitro diventa subito scarso. Il calcio comunque è cambiato, la Var ha portato a un appiattimento della personalità dell’arbitro. Prima veniva valutato per la prestanza fisica e per la personalità. Doveva convincere i giocatori della bontà della sua decisione dopo un rigore dato o non dato, doveva controllare e limitare le proteste. Ora mette una mano all’orecchio, con l’altra dice ai calciatori di fare silenzio perché non riesce ad ascoltare quello che gli dicono in cuffia. È un po’ più morto nello spirito”.
Orsato rimane il top?
“È nell’Olimpo, uno dei più forti della storia come Collina, Braschi, Agnolin, Casarin, Di Bello. Questi qui, insomma. È mostruoso, al di là del tifo e di un episodio sfortunato come quello in Inter-Juventus. Con Orsato non siamo neanche amici, ma è fortissimo, lo stimo a livello professionale”.
Cambierà mai la mentalità del tifoso nell’approcciarsi all’argomento arbitrale?
“Non penso, anzi, pensate cosa si direbbe se anche da noi succedesse come in Inghilterra. Lì, nelle serie minori, è la società di casa che va a prendere l’arbitro e lo accompagna al campo. Qui si penserebbe sempre al complotto. All’estero non ci sono strutture, sezioni che fanno i corsi di aggiornamento. Però ci si lamenta dell’Italia…”.