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Esteri

Rushdie torna a parlare dopo l’attentato: “Non voglio fare la vittima, ma sto molto male ancora”

Published by
Daniele Magliocchetti

Lo scrittore ha parlato delle ferite e di quanta sofferenza gli procurano, della fatica che fa adesso a scrivere e della “fatwa”

Torna a parlare dopo il bruttissimo attentato che ha avuto. In una lunga intervista con il direttore del New Yorker David Remnicklo scrittore Salman Rushdie ha ritrovato la parola e ha spiegato tutto quello che è successo subito dopo l’attentato dell’anno scorso. Un giorno dove lo scrittore ha avuto paura di morire. Rushdie, che ha 75 anni, fu aggredito sul palco di un festival letterario che fu organizzato a New York, da un uomo che si pensa abbia tentato di eseguire la condanna a morte che Teheran ha imposto nel 1989 dopo la scrittura del libro Versi satanici.

Lo scrittore Salman Rushdie prima di subire l’attentato (Ansa Notizie.com)

Durante le prime parole dell’intervista, Rushdie definisce l’attacco «colossale» anche se allo stesso tempo dice di essere  “fortunato”, nonostante le ferite riportate, e non sono di lieve entità. “Come sto? Meglio, decisamente meglio, anche se considerando quello che è successo, devo ammettere che non poi così male”. Ferite molto gravi all’addome, al petto e al collo, anche se allo stesso tempo ammette di riuscire ad alzarsi e a camminare, ma di farlo con molta fatica. Rushdie però, confessa di soffrire nello scrivere perché, sostiene, nella mano sinistra ha la “sensibilità solo in due polpastrelli”

“Non voglio che le persone leggano un mio libro e pensino: oh poverino per quello che gli è successo”

Salman Rushdie è tornato a parlare dopo il brutto attentato (Ansa Notizie.com)

Mentre parla, Rushdie dice e sottolinea più volte di non voler «fare la vittima»,anche se volte tra se e se non può non pensare, ed è lui stesso che lo ricorda: «Qualcuno mi ha piantato un coltello addosso! Povero me… è una cosa che ogni tanto mi capita di pensare», scrive il New Yorker che esclama queste frasi col sorriso, ma anche con l’amarezza di chi non può farci nulla. «Fa ancora tanto male», ricorda Rushdie, sia la ferita ma soprattutto quello che è successo e come è successo, davanti al pubblico, in mezzo alla gente. Una cosa che dovrebbe farlo stare al sicuro, ma non è stato così.

A un certo punto, durante l’intervista, il direttore Remnick chiede a Rushdie se fosse stato un errore desiderare di avere una una vita più libera dopo che ha deciso di uscire dal programma protezione. Rushdie ammette che di averci pensato anche se poi ammette: «ho avuto più di vent’anni di vita», dice, «e poi ho scritto molti libri». «Tre quarti della mia vita come scrittore sono trascorsi dopo la fatwa: In un certo senso, non puoi rammaricarti per quella che è stata la tua vita», osserva.

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Daniele Magliocchetti