Pugno duro di Papa Francesco sui beni materiali del Vaticano

Una Lettera apostolica in forma di Motu Proprio emanata da papa Francesco che tenta di forzare la mano su tutto ciò che riguarda i beni materiali della Santa Sede, invitandone a una destinazione d’uso coerente con la moralità cristiana nella maniera più netta e radicale.

Il testo afferma e ricorda infatti che, senza possibilità di alcuna replica, ogni bene ecclesiastico che si trova in mano a religiosi, congregazioni o laici, non può essere utilizzato per fini personali o individuali, quasi alla stregua di un possedimento di natura privata, ma al contrario vanno utilizzati per la missione della Chiesa universale, e che questi, per loro natura, sono da attribuire in ultima istanza alla proprietà della Chiesa universale, quindi della Santa Sede. Specialmente dopo gli scandali che hanno segnato il Vaticano negli ultimi anni e i tentativi, finora andati a vuoto, di sistemare la questione delle finanze e del patrimonio vaticano.

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(Ansa)

“Tutti i beni, mobili e immobili, ivi incluse le disponibilità liquide e i titoli, che siano stati o che saranno acquisiti, in qualunque maniera, dalle Istituzioni Curiali e dagli Enti Collegati alla Santa Sede, sono beni pubblici ecclesiastici e come tali di proprietà, nella titolarità o altro diritto reale, della Santa Sede nel suo complesso e appartenenti quindi, indipendentemente dal potere civile, al suo patrimonio unitario, non frazionabile e sovrano”. Si tratta di uno dei passaggi più importanti del Motu Proprio emanato dal Papa, dal titolo “Il diritto nativo. Circa il patrimonio della Sede Apostolica”.

Il Motu Proprio emanato dal Papa sul patrimonio della Sede Apostolica

Un documento che, in un linguaggio tecnico e istituzionale, afferma che tutti i beni della Chiesa sono in capo alla Santa Sede e che, di conseguenza, non è possibile utilizzarne a proprio piacimenti quasi come se si trattasse di beni di natura individuale, o ancor peggio privata. Una vera e propria stretta da parte del Papa argentino su ogni utilizzo improprio delle proprietà della Chiesa, specie dopo gli ultimi scandali che hanno intaccato le finanze vaticane, come per la vicenda della compravendita del palazzo londinese di Sloane Avenue che ha portato a processo in Vaticano, tra gli altri, il cardinale Angelo Becciu.

Niente di nuovo, sembrerebbe di per sé, nel momento in cui si riafferma che un palazzo o un deposito bancario appartengono alla Santa Sede e non ai singoli enti, uffici o ancor più ai cardinali o prelati che li dirigono. Di fatto, però, fino ad ora è sovente accaduto che ogni dicastero vaticano o ente collegato ad esso si è tenuto saldo il tesoretto, portando però a gestioni a dir poco, spesso, disastrose. Come nella vicenda dell’immobile di Londra, gestito dalla Segreteria di Stato. Per di più, sono due anni che Francesco aveva stabilito che tutte le disponibilità finanziarie vaticane venissero trasferite all’Apsa, l’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica guidata da Mons. Nunzio Galantino, ma di questi trasferimenti non si è praticamente finora nemmeno vista l’ombra, così Bergoglio ha ben pensato di calzare la mano sull’argomento.

“Nessuna Istituzione o Ente può pertanto reclamare la sua privata ed esclusiva proprietà o titolarità dei beni della Santa Sede, avendo sempre agito e dovendo sempre agire in nome, per conto e per le finalità di questa nel suo complesso, intesa come persona morale unitaria, solo rappresentandola ove richiesto e consentito negli ordinamenti civili”, scrive il Papa nel decreto. “I beni sono affidati alle Istituzioni e agli Enti perché, quali pubblici amministratori e non proprietari, ne facciano l’uso previsto dalla normativa vigente, nel rispetto e con il limite dato dalle competenze e dalle finalità istituzionali di ciascuno, sempre per il bene comune della Chiesa“, continua ancora.

Il pugno duro di Papa Francesco sui beni vaticani

Una chiara affermazione di centralismo istituzionale, in sostanza un pugno duro del Papa argentino, come verrà certamente interpretata da molti, con l’impressioe di autoritarismo da parte di Bergoglio, che tuttavia con il suo Motu proprio vuole riaffermare un concetto chiaro della proprietà dei beni di natura ecclesiastica: che questi abbiano come unica ed esclusiva finalità quella di servire la Chiesa e la missione cristiana nel mondo, e non certo di fare in modo che la singola personalità, religiosa o laica, che ne detiene il diritto di gestione, li utilizza quasi come se si trattasse di possedimenti di sua stessa proprietà, e per soddisfare i suoi fini personali.

Un tema scottante, visti anche i numerosi scandali passati alle cronache giornalistiche, in cui singoli prelati o sacerdoti hanno disposto dei beni della Chiesa per i loro interessi, o ancor peggio vizi. Compiendo reati che vanno al di fuori del campo di interesse del documento siglato da Papa Francesco, ma che in qualche modo danno contezza di una deriva privatistica e personalistica che negli anni può avere attaccato la Chiesa, e di conseguenza la mentalità e il modo di vivere e di utilizzare i beni ecclesiastici da parte dei religiosi. “Resta fermo quanto previsto dalla normativa vigente circa il patrimonio e gli investimenti degli Enti che fanno riferimento alla Santa Sede inclusi nella lista di cui allo Statuto del Consiglio per l’Economia“, ribadisce tuttavia il il documento papale.

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(Ansa)

Non a caso, nella stessa premessa del Motu Proprio si rimarca, senza diritto di replica, che “il diritto nativo, indipendente dal potere civile, della Santa Sede di acquistare beni temporali è uno degli strumenti che, con il sostegno dei fedeli, una prudente amministrazione e gli opportuni controlli, assicurano alla Sede Apostolica di operare nella storia, nel tempo e nello spazio, per i fini propri della Chiesa e con l’indipendenza che è necessaria per l’adempimento della sua missione“.

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