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Mare Fuori 3, il regista smentisce: “La serie non è una versione fedele delle carceri minorili!”

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Leonardo Marcucci

In occasione dell’uscita della terza stagione di Mare Fuori, il regista Ivan Silvestrini ha parlato agli studenti di Roma Tre.

A volte, forse, dovremmo lasciar parlare soltanto i numeri e abbandonare la severa disamina qualitativa di un prodotto, soprattutto quando questo diviene un vero e proprio fenomeno nazionale, capace di catalizzare l’attenzione di un paese intero. A volte, pretendere da un prodotto popolare di sacrificare emozioni di sicura efficacia, alla ricerca di una sterile e aleatoria raffinatezza, vorrebbe dire snaturare il concetto stesso di cultura di massa, nel vano tentativo di elevarsi a élite culturale. Se poi il prodotto in questione, permette a giovani ragazzi di approfondire temi importanti, ecco che l’operazione commerciale si eleva involontariamente a potente mezzo di riflessione. E’ questo il caso di Mare Fuori, celebre serie televisiva Rai, in cui vengono narrate le vicende di alcuni ragazzi detenuti in un IPM (Istituto Penale per i Minori).

Mare Fuori, Notizie.com

La serie, dopo una distribuzione piuttosto infelice da parte della Rai, ha conosciuto un enorme successo grazie all’acquisizione da parte di Netflix delle prime due stagioni, che sono state inserite all’interno dell’ambito catalogo. Quella che è di fatto una serie teen, a cui non manca sostanzialmente alcun ingrediente di tale genere, se sfruttata come fecondo spunto, è in grado di nutrire approfondimenti e considerazioni utili alla comprensione della società. E’ esattamente ciò che hanno pensato gli studenti dell’associazione studentesca di Studenti Alla Terza (Università Roma Tre), che, in occasione della recente distribuzione della terza stagione di Mare Fuori, hanno invitato il regista Ivan Silvestrini ad un’intervista, in compagnia del Dott. Riccardo Di Stefano, per discutere della serie, ma anche per analizzare la situazione reale degli Istituti per Minori nel nostro paese.

La serie del momento raccontata dal suo regista

Essendo subentrato nel corso della seconda stagione, Silvestrini ha parlato di come ha approcciato il confronto con il lavoro svolto precedentemente: “Avevo due scelte: da un lato essere estremamente rispettoso di ciò che mi aveva preceduto e in qualche modo incanalarmi nell’approccio che mi ha preceduto; l’altra era fare il ca**o che mi pareva e cambiare completamente rotta. Nel mezzo c’è quello a cui ho cercato di arrivare, cioè mantenere il cuore di quello che era la serie, ma cercare di portarla in avanti, rispetto a come si è evoluto il linguaggio della serialità. In realtà io non non approccio questa serie pensando ‘devo fare una serie’, ho cominciato a fare questa serie dicendo ‘questo è il prossimo racconto audiovisivo che io farò’ e l’ho fatto con lo stesso approccio con cui avrei fatto un film”. 

Ivan Silvestrini ospite all’università di Roma Tre, Notizie.com

Il regista romano ha proseguito, parlando di come sia stato lavorare con talenti così giovani: “Sono rimasto molto colpito perché comunque, specialmente a Napoli, loro già erano delle celebrità dopo la prima stagione. Nonostante ciò, sono stati da subito di una professionalità a dir poco assoluta: nessun tipo di atteggiamento da divi, mi hanno sempre dimostrato, anche quando non mi conoscevano, un enorme rispetto. Sono rimasto molto colpito dalla loro serietà”. Si è poi passati a parlare del budget e dell’impresa raggiunta con numeri in ballo così modesti: “In un recente articolo si evince che una serie di recente uscita su Netflix aveva il doppio del budget, sei puntate e lo stesso tempo di riprese che avevamo noi per dodici puntate. Ciò ci fa rendere conto di quanto sia incredibile ciò che siamo riusciti a mettere insieme in questa stagione, di cui sono particolarmente fiero. Il lavoro di tutti ha permesso una simile qualità”.

Mare Fuori, Notizie.com

Silvestrini ha anche parlato di quanto sia stato semplice indirizzare questi giovani attori all’interno di un vissuto di tale complessità esistenziale: “Questi attori sono dei professionisti e non è che io abbia dovuto fare chissà quale lavoro per indirizzarli nei loro comportamenti criminali. Quello è un lavoro che loro hanno fatto sul personaggio, che ho in qualche modo ereditato e in parte poi sviluppato con loro. Penso che la cosa più straordinaria di questa serie è che, anche se parliamo di un mondo criminale e paracriminale, non raccontiamo questi criminali con la canonica estetica della cattiveria a 360 gradi. Noi vediamo le lacrime di questi ragazzi, osserviamo tutte le sfere emotive della loro vita. Questa serie mi ha dato tante occasioni di raccontare anche cose che magari neanche nel mondo normale si vedono tanto, come per esempio la tenerezza fa maschi. Abbiamo cercato di combattere questo tabù che vede i maschi come dei pezzi di ghiaccio, incapaci di soffrire insieme, abbracciarsi, baciarsi e tutto il resto”.

La situazione delle carceri minorili in Italia

A quel punto è subentrato all’interno dell’intervista anche il Dott. Roberto Di Stefano, che ha fornito ai numerosi studenti presenti, una panoramica generale sulla situazione nazionale degli IPM: “Il mondo degli istituti penali minorili è un mondo molto complesso e sfaccettato, non riconducibile ad una visione unica del criminale senza scrupoli. Il rapporto tra questo mondo e il principio che dovrebbe improntare l’esecuzione della pena nei confronti di questi ragazzi, è molto delicato, reso ancora più delicato dal fatto che nel loro caso non si deve instaurare una rieducazione, il recupero non passa per la rieducazione perché la rieducazione presuppone un precedente inserimento sociale. Qui si tratta di minori, quindi gente che non è nemmeno riuscita a inserirsi all’interno della società e che deve ancora inserirsi e quindi la questione è ancora più impegnativa.

Carolina Crescentini in Mare Fuori, Notizie.com

Di Stefano ha proseguito:Più che di rieducazione parlerei di educazione e quindi secondo me bisogna un po’ chiedersi cosa significa il recupero di ragazzi che si sono macchiati di crimini piuttosto gravi e che stanno scontando la loro pena all’interno degli istituti penitenziari minorili. Se dovessi dare una definizione in negativo direi che la rieducazione sicuramente non è il carcere e questi sono due dati fondamentali a supporto di questa tesi: il primo è che nelle carceri italiane il 62% dei detenuti era già stato in carcere almeno una volta, quindi vuol dire che la detenzione porta solo ad altra detenzione e porta al fallimento del reinserimento sociale. Il secondo dato è relativo al tasso di suicidi. L’ultimo anno sono sono stati 84. Non sono mai stati un numero così elevato e quindi il clima è assolutamente negativo e tende a peggiorare sempre di più”.

Mare Fuori racconta la realtà?

E’ qui che il regista della celebre serie si è preoccupato di sfatare un mito ormai diffuso: “Diciamolo una volta per tutte, Mare fuori non racconta una versione fedele di quello che è la realtà carceraria minorile. Io a volte ricevo messaggi di gente che per trovare l’amore sembra quasi dover andare in un IPM, non è così. C’è uno studio sulle storie e storie di questi personaggi, che sono ispirate a vicende più o meno vere, che gli sceneggiatori hanno raccolto in anni di frequentazione del carcere. Quindi c’è assolutamente uno studio, una fedeltà nel raccontare una tipologia di storie e di vissuti, questo sì, però diciamo che gli stessi sceneggiatori, e io di conseguenza, ci prendiamo molte licenze rispetto a ciò che è la realtà di un carcere minorile“.

Rosa Ricci e Carmine, Notizie.com

Silvestrini ha poi concluso: “Alcuni hanno detto prima che io arrivassi in questa serie che ‘questo è un carcere un po’ sperimentale’, confermo, un bel po’ sperimentale. Nel senso che ovviamente c’è una promiscuità, del maschile e del femminile, che è totalmente fuori scala. Quindi diciamo, per scongiurare i vostri intenti criminali, non vi aspettate di incontrare queste realtà. Noi forziamo un po’ la mano e ci concediamo qualche licenza, perché noi vogliamo che Mare Fuori sia una serie che dia anche speranza”.

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Leonardo Marcucci