Uno studio della Cnn rivela una clamorosa scoperta scientifica. Dopo oltre 50.000 anni è stata scoperta una novità clamorosa, destinata a lasciare il segno
Proprio cosi, pare che ancora oggi, siano vivi dei virus che forse per molti sembravano essere sopiti da anni: le cause potrebbero essere legate alle temperature alte che condizionando il permafrost contribuiscono allo scioglimento anche se solo parziale del permagelo e che quindi favoriscono il risorgere di virus messi da parte ormai da molti anni.
Ad avere studiato questo fenomeno, cosi come riporta l’Andkronos, è stata la Cnn e in particolare Kimberley Miner, scienziata del clima che lavora al Jet Propulsion Laboratory al California Institute of Technology della Nasa a Pasadena, che ha ammesso: “Ci sono diversi elementi preoccupanti in relazione al permafrost, questo mostra davvero perché è estremamente importante mantenere la maggior parte del permafrost il più possibile congelato”.
Una scoperta quella di questo studio che di certo apre le porte a qualcosa di cui forse non tutti erano a conoscenza e che fa anche capire come questo scongelamento parziale possa portare anche ad ulteriori rischi. Ma approfondiamo ancora di più l’argomento.
“Lo scongelamento parziale dello strato comporta rischi” con queste parole porta il problema alla luce lo studioso Jean-Michel Claverie, professore emerito di medicina e genomica all’Università di Marsiglia. E’ stato proprio lui che per primo ha esaminato campioni di permafrost prelevati in Siberia per andare alla ricerca di quelli che definisce ‘virus zombie’.
Sempre sulla Cnn si legge: “Nel 2014, il professore è riuscito a ‘ridare vita’ ad un virus isolato dal permafrost. Il virus, attraverso l’utilizzo di colture cellulari, ha ritrovato le caratteristiche infettive dopo 30.000 anni. Per sicurezza, l’esperimento ha riguardato un virus in grado di colpire solo organismi monocellulare, non animali o esseri umani” e ancora: “Nel 2015, l’equipe ha ripetuto lo studio su un virus in grado di colpire le amebe. Nell’ultima ricerca, pubblicata il 18 febbraio sulla rivista Virus, Claverie hanno isolato diversi ceppi di virus da più campioni di permafrost prelevati da sette luoghi diversi in tutta la Siberia e hanno dimostrando che ciascun ceppo poteva infettare cellule di ameba in coltura. Il virus più anziano risale a 48.500 anni fa. Il più giovane ne ha ‘solo’ 27.000″.
Insomma davvero una scoperta incredibile che porta anche alla luce una particolarità in più, ovvero il fatto che tracce di virus e batteri possono anche in un certo senso infettare l’uomo e nello specifico sono state già anche individuate nel permafrost e in particolare nel polmone prelevato dal corpo di una donna che è stato riesumato nel 1997 dal permafrost in un villaggio della penisola di Seward in Alaska.