Gli effetti dell’Alzheimer potrebbero essere visibili sulla retina del proprio occhio e da qui avere anche una diagnosi precoce.
Pare proprio che con una semplice visita oculistica, i medici possono diagnostica con precisione e anche prima del dovuto l’Alzheimer, la forma di demenza più diffusa che purtroppo colpisce circa 40 milioni di persone, un dato che negli anni va tragicamente a crescere.
Il motivo per cui tutto questo potrebbe rivelarsi giusto riguarda il fatto che la retina guarda proprio il sistema nervoso e quindi con questo studio si è in grado di notare delle alterazioni nei pazienti che stanno anche solo cominciando ad avere questo tipo di patologia neurodegenerativa: “Tali anomalie sono state osservate anche in persone senza tali disturbi; secondo gli studiosi potrebbero essere un segnale precoce di Alzheimer, i cui sintomi, del resto, si manifestano decenni dopo l’avvio del processo di degenerazione neuronale” questo quello che si legge su Fanpage.
Questo studio è certamente un passo in avanti nel mondo della medicina, visto che la speranza è che in qualche modo con il tempo si possa arrivare anche ad avere un test diagnostico standardizzato in grado di identificare il morbo allo stadio iniziale e approntare tutti i percorsi terapeutici in grado di rallentarne il decorso. Al momento sappiamo che questa malattia è incurabile.
Dalla retina si scopre l’Alzheimer: lo dice la scienza
Proprio cosi, una semplice visita oculistica potrebbe in qualche modo aiutare a determinare in modo efficace e immediato il morbo dell’Alzheimer, ad avere portato avanti questa ricerca che poi si è trasformata in una verità è stato il team internazionale guidato da scienziati statunitensi del Maxine Dunitz Neurosurgical Research Institute del Cedars-Sinai Medical Center di Los Angeles, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Facoltà di Medicina, Salute e Scienze Umane dell’Università Macquarie di Sydney (Australia), dell’European Brain Research Institute (EBRI) di Roma, del Queensland Brain Institute e di altri istituti.
Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Maya Koronyo-Hamaoui, docente di Neurochirurgia, Neurologia e Scienze biomediche presso il centro californiano, dopo avere portato avanti diversi studi e avere lavorato ad un’approfondita indagine istopatologica e biochimica della retina e dei tessuti cerebrali di 86 donatori deceduti, sono riusciti a giungere a questa importante conclusione che da oggi in poi potrebbe anche cambiare lo stile di vita di chi si trova a contatto con questa malattia, che per il momento ricordiamo essere incurabile.
Dai campioni, che sono stati studiati, la ricerca del team di esperti ha anche concluso: “Che nel cervello dei pazienti con malattia di Alzheimer si aggrega per formare placche che interrompono la funzione cerebrale” e ancora: “Hanno inoltre rilevato l’accumulo della proteina “appiccicosa” beta-amiloide nelle cellule gangliari; un numero superiori di astrociti e cellule di microglia (immunitarie) associate alle placche di beta-amiloide; l’80 percento in meno di cellule microgliali deputate all’eliminazione di queste placche dalla retina e dal cervello; e marcatori biologici associati alla neurodegenerazione e all’infiammazione”.