La notte del Venerdì Santo si ricorda il processo e la condanna a morte di Gesù, insieme alla Via Crucis e quindi alla sua Passione, il cammino verso il Calvario in cui Cristo venne messo in croce e ucciso nella modalità più crudele e dolorosa in assoluto. In un mondo sempre più secolarizzato, non tutti conoscono la vicenda dal punto di vista storico, in modo particolare per quanto riguarda i dettagli che hanno anteceduto la crocifissione.
Perchè Gesù venne condannato, e come si svolse il processo? Quali furono i capi d’imputazione, i reati commessi da quello che era uno sconosciuto predicatore di Nazareth, un potenziale sobillatore delle masse pericoloso per l’Impero romano? Come si arrivò inoltre al giudizio di colpevolezza?
Tutto rimanda, dal punto di vista storico, a una giornata di aprile dell’anno 30 dopo la nascita di Cristo stesso, quando il procuratore romano Ponzio Pilato era governatore di una regione situata ai confini dell’Impero guidato allora da Tiberio, quindi piuttosto marginale, ovvero la Giudea. Gesù venne trascinato fino al Palazzo di Erode il Grande, sulla collina posta a ovest della città, presentato come uno scomodo predicatore trentenne ebreo della Galilea, una sorta di rabbì di Nazaret, giudicato come un potenziale pericolo pubblico.
Il suo nome è Yeshùa, per esteso Yehoshua ben Yosef. In poche ore il processo giunse al culmine con la condanna di Gesù alla pena capitale, dopo il giudizio espresso furiosamente dal popolo nel momento in cui Pilato lo interpellò nello scegliere tra lui e Barabba. L’esecuzione della pena è prevista nella forma più cruda e dolorosa, nonché infamante, che fosse possibile: la crocifissione.
Ricostruire storicamente e moralmente l’intera vicenda non è di certo una passeggiata, anche perché si trovano coinvolti sull’argomento duemila anni di letteratura, studi, indagini e riflessioni. Non c’è infatti solo il nodo dei colpevoli della morte di Cristo, che per anni è stata volgarmente imputata al popolo ebraico nella sua totalità, almeno fino alla dichiarazione conciliare Nostra Aetate del 28 ottobre 1965 che ha fatto chiarezza sulla questione una volta per tutte.
Si tratta anche di affrontare nel minimo dettaglio la ricostruzione storica di un fatto avvenuto in un tempo remoto, e in cui le fonti, come per tutti i fatti dell’epoca, non potevano essere di certo infinite. I testi biblici, e nello specifico i quattro Vangeli canonici, più gli apocrifi, non solo per i credenti ma anche per gli storici stessi ne sono però il faro, la fonte primigenia, e sono di conseguenza già sufficienti tuttavia a dare un’immagine estremamente dettagliata di ciò che accadde.
Ci sono però anche molti altri analoghi documenti corrispondenti a quanto descritto nei testi evangelici, come ad esempio le Antichità giudaiche (XVIII) dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, gli Annali dello storico romano Tacito e non solo. I Vangeli, oltre a raccontare i fatti dal punto di vista storico, ne danno una lettura corrispondente alla visione dovuta alla fede cristiana, nonché agli interlocutori dei testi stessi, che in un primo momento avrebbero avuto dei destinatari specifici.
Di fatto, lo scandalo dovuto alla morte e alla crocifissione di Gesù fu, sostanzialmente, una bestemmia. Gesù venne portato di fronte al tribunale supremo a causa del fatto che si era sparsa la voce di un uomo che si proclamava figlio di Dio e che compiva miracoli, per di più in giorno di sabato, ciò in una modalità temporale che non era prevista dalla legge. Quando nel Vangelo di Marco Caifa, sommo sacerdote in carica e quindi capo del Sinedrio, chiede a Gesù se lui sia effettivamente “il Cristo”, come ciò che il popolo dice di lui, a differenza di quanto riportato negli altri Vangeli lui risponde affermativamente in maniera esplicita. Così Caifa grida: “Che bisogno abbiamo di altri testimoni? Avete udito la bestemmia“, mentre tutti i membri del Sinedrio sostengono la pena di morte nei suoi confronti. Secondo alcuni biblisti fu proprio questa risposta all’origine della sua condanna sulla croce.
Motivazione poi riportata nello stesso acronimo latino inscritto nella parte alta dell’asse verticale della croce: INRI, Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum, “Io sono Gesù il Nazareno, Re dei Giudei”. Con queste parole campeggianti a fianco del suo corpo crocifisso, Gesù si incammina nella sua Passione, quella rappresentata nella notte del Venerdì Santo in quasi ogni luogo del mondo, mentre si scandiscono le parole e le litanie che accompagnano la Via Crucis, luce nella notte del mondo che precede la Resurrezione del Salvatore, il giorno di Pasqua, la ricorrenza più importante per l’intera cristianità.