Valerio Valenti, capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, nominato commissario delegato per lo stato di emergenza per i migranti deliberato dal governo lo scorso 11 aprile. Si apre un caso: 4 regioni a guida Pd non hanno intesa all’ordinanza
Valerio Valenti, capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno è stato nominato commissario delegato per lo stato di emergenza per i migranti nelle regioni Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano.
La nomina è arrivata da un’ordinanza a firma del capo della Protezioni Civile, Fabrizio Curcio, secondo la quale il nuovo Commissario si avvalga di una struttura di supporto da costituire, composta da un massimo di 15 unità di personale già in servizio presso il ministero dell’Interno. Inoltre il commissario delegato è autorizzato a riconoscere al personale che lo supporta, fino al termine dello stato di emergenza, (6 mesi) un’indennità mensile pari al 25 per cento della retribuzione mensile.
Fino al termine dello stato di emergenza, il commissario delegato è poi autorizzato ad avvalersi, per un supporto tecnico-giuridico e amministrativo-contabile, di tre esperti, compresi un magistrato amministrativo, un magistrato contabile e un procuratore o avvocato dello Stato. Compito del nuovo commissario è coordinare le attività volte all’ampliamento della capacità del sistema di accoglienza, con particolare riferimento agli hotspot e ai centri previsti dal Sistema di accoglienza e integrazione, coinvolgendo i territori interessati, e a coordinare l’attività per l’accoglienza dei migranti in strutture provvisorie, nelle quali siano assicurati il vitto, l’alloggio, il vestiario, l’assistenza sanitaria e la mediazione linguistico-culturale. Ma Valenti è anche chiamato ad individuare le migliori soluzioni per assicurare un servizio continuativo di trasporto marittimo e aereo, da parte di vettori appositamente individuati, dagli hotspot ai territori dove saranno individuati i centri e strutture. Il commissario per realizzare questi obiettivi può agire anche in deroga ad una serie di norme, viene previsto nel documento.
Ma quattro Regioni guidate dal centrosinistra – Toscana, Campania, Emilia Romagna e Puglia – non hanno dato l’intesa all’ordinanza e dunque, inevitabilmente si apre un caso politico. Queste sono tutte Regioni con grossi problemi di prima e seconda accoglienza, che non hanno voluto accettare il commissariamento delle proprie competenze da parte del governo. E rimanendo sul tema migranti, la protezione speciale, che la maggioranza di governo punta e restringere o abolire, come dichiarato anche ieri dall’Etiopia dalla premier Giorgia Meloni, incendia il dibattito politico e mette le opposizioni sul piede di guerra. In questa chiave i sindaci del Pd delle grandi città, da Roma a Milano, da Torino a Bologna, da Firenze a Napoli, chiedono proprio all’esecutivo, di non cancellare la protezione speciale, terza strada attualmente percorribile per un cittadino straniero, per entrare in Italia e chiedere un permesso di soggiorno con validità di lavoro.
I primi cittadini, Roberto Gualtieri, Beppe Sala, Gaetano Manfredi, Stefano Lo Russo, Matteo Lepore e Dario Nardella hanno così sottoscritto e diffuso un unico documento congiunto. Un appello rivolto al governo di centrodestra. Ecco cosa contiene il testo di questo documento: ” Come Sindaci, come Amministratori, come cittadini che quotidianamente si impegnano nei territori per cercare di garantire le migliori risposte alle criticità che le nostre Comunità esplicitano, siamo molto preoccupati per le proposte in discussione relative alle modifiche all’unico sistema di accoglienza migranti effettivamente pubblico, strutturato, non emergenziale che abbiamo in Italia. La preoccupazione delle città è massima a fronte di emendamenti proposti da alcuni partiti al DL 591 dopo le tante evidenze a cui il nostro ordinamento ha dovuto porre rimedio in questi anni. Non bisogna ragionare in ottica emergenziale ed è secondo noi sbagliato immaginare l’esclusione dei richiedenti asilo dal SAI, precludendo loro qualunque percorso di integrazione e una reale possibilità di inclusione ed emancipazione nelle nostre comunità”
“Non condividiamo la cancellazione della protezione speciale”– si legge ancora nel documento congiunto- “misura presente in quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, mentre circa il 50% dei migranti presenta vulnerabilità ed è in parte significativa costituito da nuclei familiari. Queste scelte, qualora adottate, non potrebbero che procurare infatti una costante lesione dei diritti individuali e innumerevoli difficoltà che le nostre comunità hanno già dovuto affrontare negli anni scorsi, a fronte di un importante aumento di cittadini stranieri condannati appunto all’invisibilità. Tutto questo mentre il sistema dei Cas, mai uscito da un assetto emergenziale, è saturo e purtroppo inadeguato ad accogliere già oggi chi proviene dai flussi della rotta mediterranea come da quella balcanica. Insufficiente, sia per numeri sia per le modalità d’accoglienza sia per i servizi di accompagnamento, protezione ed inclusione, assenti. E in questo quadro occorre ripensare anche il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati cui occorre applicare logiche distributive che evitino la concentrazione nelle sole grandi città”.
Gualtieri, Sala, Manfredi, Lo Russo, Lepore e Nardella, in rappresentanza rispettivamente delle città di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e Firenze, avanzano e strutturano all’esecutivo una serie di proposte: “sia rinforzata l’unitarietà del Sistema di Accoglienza italiano, valorizzando l’esperienza virtuosa del SAI, ovvero supportando attivamente la rete dei Comuni che quotidianamente affrontano in prima persona le sfide che i movimenti migratori in ingresso sottopongono ai nostri servizi, ai nostri territori e alle nostre comunità. Con un solo obiettivo: garantire percorsi di effettiva inclusione e tutela compatibili con i territori, evitando grandi centri di accoglienza, senza servizi e senza tutele, per tutti; il Sai rimanga accessibile a richiedenti protezione e rifugiati; i Cas vengano trasformati in hub di prima accoglienza, dedicati alle procedure di identificazione e di screening sanitario per poi procedere a trasferimenti rapidi nel sistema di seconda accoglienza ed inclusione, appunto il SAI; vengano ripristinati i criteri di riparto che il Piano nazionale di accoglienza aveva indicato.”
I primi cittadini sono infatti convinti, che “In assenza di azioni positive mirate o, peggio, con azioni sbagliate, le ricadute saranno infatti l’irregolarità diffusa o lunghi percorsi di ricorsi giudiziari che paralizzeranno le vite di molte persone inabilitandole e rendendole facili prede del lavoro nero, che invece non manca”.