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Curiosità

‘Camaleonti – Storia di un’idea’ di Paolo Denti: la recensione

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Arianna Di Pasquale

Recensione a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo. Raccontare la musica e – con essa – la storia non solo di un gruppo di persone ma del Paese intero, passando attraverso i decenni, le trasformazioni, i cambiamenti che ci hanno portato al mondo attuale. C’è tutto questo dietro “Storia di un’idea”, scritto da Paolo Denti con Tonino Cripezzi, Livio Macchia per Fausto Lupetti editore.

La musica al centro del racconto autobiografico è quella dei Camaleonti, filtrata attraverso aneddoti e ricordi dei due fondatori del gruppo, forse il più longevo tra quelli nati nel filone del “beat” italiano. Una band che può vantare oltre 30 milioni di dischi venduti, 17 album, 39 singoli, diverse compilation e antologie pubblicate anche fuori dai nostri confini, dalla Germania all’Argentina, passando per gli Stati Uniti. Il nome lo derivarono dalla molteplicità del loro repertorio, negli anni Sessanta, quando al rock che piaceva ai giovani – lo avevano appena scoperto – affiancavano musiche più tradizionali, dai classici americani ai balli popolari, compresi quelli stranieri. Erano tempi pionieristici quelli, quando la musica – attraverso soprattutto i juke box e gli eventi pubblici – era condivisa e non ascoltata nell’ovattato silenzio delle cuffie.

Mezzo secolo di musica – L’incipit di “Storia di un’idea” ci porta agli albori di questa vicenda quando i due protagonisti iniziano il loro percorso di acculturazione musicale: uno studia pianoforte, l’altro riceve in dono un violino. E’ il primo passo che condurrà a una crescita significativa, in una scena musicale – quella milanese della prima metà del decennio dei ’60 – ricchissima di spunti e suggestioni. Nel corso della loro evoluzione. I Camaleonti trovano sulla propria strada tante altre band – Beatnicks, I Demoniaci, I Marines, I Trappers, Le Ombre – e personaggi che hanno fatto la storia: basti citare Lucio Battisti, Mogol, Ricky Gianco, Mario Perego, Adriano Celentano, Teo Teocoli. E poi i musicisti che, via via, hanno fatto parte della formazione, Paolo de Ceglie, Gerry Manzoli, Riki Maiocchi, Mario Lavezzi, Gabriele Lorenzi. E la lista potrebbe continuare.

Per questo gruppo, come per tanti altri, la svolta arriva nel caldissimo giugno del 1965, precisamente il 24 del mese. Quel giorno a Milano, al velodromo Vigorelli, arriva la leggenda, che ha le fattezze, le capigliature ma soprattutto la musica immortale di quattro ragazzi della classe operaia di Liverpool, George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr. Sono arrivati i Beatles. E con loro una valanga di suoni, ma soprattutto la voglia di riscrivere le regole, di andare oltre le convenzioni. Perché “loro” non sono alieni scesi da un’astronave, ma ragazzi qualunque che, con talento infinito e determinazione, sono saliti sul tetto del mondo. Per tanti complessi italiani – e i Camaleonti non fanno eccezione – è il momento della consapevolezza. L’anno successivo, la band affronta il Cantagiro – all’epoca una manifestazione itinerante in Italia unica nel suo genere, nata dall’estro del “patron” Ezio Radaelli.

I grandi successi – L’esplosione della musica che seguì la Beatlesmania portò anche i Camaleonti a incidere cover in italiano di canzoni straniere, come successo ai Dik Dik, che l’anno precedente avevano sbancato con “Senza luce” (A Whiter Shade of Pale), traduzione del successo degli inglesi Procol Harum. Proprio per battere la concorrenza della band nata come Dreamers, venne registrata in fretta e furia “L’ora dell’amore” cover di “Homburg”, altro successo dello stesso gruppo britannico. Fu un colpo da maestri, perché il singolo vendette due milioni di copie e rimase a lungo in classifica. Nel libro, chiaramente, le vicende musicali si intrecciano a quelle personali, come i ricordi del tragico giorno che segnò l’inizio di quella che verrà chiamata la “strategia della tensione”, l’attentato fascista alla banca Nazionale dell’Agricoltura di Piazza Fontana, il 12 dicembre del 1969. Un ricordo particolarmente vivido per Livio Macchia che quel pomeriggio si trovava a poca distanza dal luogo della deflagrazione.

Gli anni ’70 sono altalenanti: iniziano con una fortunata partecipazione a Sanremo, dove il gruppo si esibisce in coppia con Ornella Vanoni in “Eternità”, ma proseguono con un calo di popolarità, dovuto soprattutto alla crescita di altri generi, dal rock progressivo al fenomeno della disco-music. Il gruppo non molla, comunque, e torna alla ribalta con altri successi, “Come sei bella”, Perché ti amo”, “Il campo delle fragole”, “Amicizia e amore”.
Gli anni ’80 – col progetto “Che aereo stupendo la speranza” – sono quelli della conferma di una solida base di fan, che seguono anche i mutamenti di formazione: Gerry Manzoli e Dave Summer salutano – facendo scelte differenti – ma in compenso arriva il chitarrista Vincenzo Mancuso, con Livio che si concentra su basso. E poi ancora Massimo Brunetti alle tastiere e Valerio Veronese alla chitarra: tutta linfa nuova che si aggiunge al nucleo storico della band che negli anni ’90 torna a Sanremo (edizione 1993) insieme a Maurizio Vandelli e i Dik Dik con il brano “Come passa il tempo” che ottiene più consenso dal pubblico che dalla giuria.

I Camaleonti oggi – Gli avvicendamenti continuano nel nuovo millennio, con l’arrivo di Massimo Di Rocco alla batteria, anche a causa della tragica scomparsa, a pochissima distanza l’uno dall’altro, di due storici componenti della band, il percussionista Paolo de Ceglie e Riki Maiocchi. In questo periodo esce comunque un dvd che ripercorre i primi quaranta anni del complesso – tra il 1964 e il 2004. Con un sguardo al futuro perché, anche se la loro attività è diminuita, i Camaleonti ci sono ancora e la musica che propongono non finirà mai.

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Arianna Di Pasquale